Robert Jordan - I fuochi del cielo
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«Cosa significa questo tuo arrivare di soppiatto, Lanfear?» chiese bruscamente. Non abbandonò il contatto con il Potere e preparò una serie di sgradevoli sorprese in caso di bisogno. «Se vuoi parlarmi, manda un emissario e io deciderò quando e dove. E se.» Per tutta risposta Lanfear gli rivolse quel suo dolce e pericoloso sorriso. «Sei sempre stato un porco, Rahvin, ma raramente uno sciocco. Quella donna è un’Aes Sedai. Cosa fai se si accorgono della sua scomparsa? Hai per caso mandato anche degli araldi ad annunciare dove ti trovi?»
«Incanalare?» la schernì l’uomo. «Non è nemmeno abbastanza forte da poter uscire senza una tutrice. Chiamano Aes Sedai delle ragazzine prive di addestramento quando tutto quello che conoscono sono dei trucchetti che hanno imparato da sole e il resto delle loro cognizioni è ridicolo.»
«Ti divertiresti ancora se queste ragazzine prive di addestramento ti circondassero in tredici?» Il tono freddo dell’irrisione lo colpì, ma non lo lasciò capire.
«Prendo le mie precauzioni, Lanfear. Piuttosto che una delle mie bamboline, come le chiami tu, è la mia spia dalla Torre. Adesso mi riferisce esattamente ciò che voglio sapere ed è desiderosa di farlo. Coloro che servono i Prescelti nella Torre mi hanno detto esattamente dove trovarla.» Sarebbe presto giunto il giorno in cui il mondo avrebbe rinunciato all’appellativo di Reietti e si sarebbe inginocchiato davanti ai Prescelti. Era stato promesso loro molto tempo fa. «Perché sei venuta, Lanfear? Certamente non in aiuto di donne indifese.»
La donna si limitò a stringersi nelle spalle. «Puoi trastullarti con i tuoi giocattoli quanto vuoi, per quanto mi riguarda. Sei poco ospitale, Rahvin, per cui sono sicura che mi perdonerai se...» Una caraffa d’argento si sollevò da un tavolino vicino al letto e si inclinò per versare del vino scuro in una coppa intarsiata d’oro. Quando la caraffa tornò sul tavolo la coppa fluttuò verso la mano di Lanfear. L’uomo non sentì nulla tranne un vago prurito e, naturalmente, non scorse alcun flusso; questa cosa non gli era mai piaciuta. Che lei fosse in grado di vedere solo una piccola parte delle sue trame era un piccolo rimedio per recuperare l’equilibrio.
«Perché?» chiese di nuovo.
La donna sorseggiò con calma prima di rispondere. «Visto che ci hai evitati tutti, alcuni dei Prescelti verranno qui. Io sono arrivata prima affinché sapessi che non si tratta di un attacco.»
«Altri? Uno dei tuoi piani? Che bisogno ho io dei piani di qualcun altro?» L’uomo rise di colpo, un suono ricco e profondo. «Per cui non si tratta di un attacco, vero? Non sei mai stata il tipo da attacco diretto, ricordo bene? Non pessima come Moghedien forse, ma hai sempre preferito i fianchi e le spalle. Stavolta mi fiderò di te, abbastanza da ascoltarti. Finché sarai sotto i miei occhi.» Chi si fidava di Lanfear oltre lui meritava il pugnale che si sarebbe ritrovato in mezzo alla schiena. Non che ci si potesse fidare neanche quando era sotto controllo; l’umore di Rahvin era come minimo incerto. «Chi altri dovrebbe partecipare?»
Stavolta era stato avvisato con chiarezza — opera maschile — mentre un altro passaggio si apriva, mostrando alcuni archi di marmo che immettevano su un ampio balcone di pietra e dei gabbiani che stridevano e planavano in un cielo terso e azzurro. Alla fine apparve un uomo che entrò nella stanza mentre il passaggio si chiudeva alle sue spalle.
Sammael era compatto, solido e dall’aspetto più robusto di quanto realmente fosse, il passo rapido e dinamico, i modi repentini. Occhi azzurri e capelli biondi, con una barba ben curata e squadrata, forse avrebbe potuto essere al di sopra della media se non fosse stato per una cicatrice, che sembrava causata da un attizzatoio infuocato passatogli sul viso, dall’attaccatura dei capelli alla mascella. Avrebbe potuto eliminarla subito, molti anni fa, ma aveva deciso di non farlo.
Connesso a saidin con altrettanto fervore di Rahvin — da così vicino Rahvin poteva vagamente percepirlo — Sammael lo guardò circospetto. «Mi aspettavo cameriere e ballerine, Rahvin. Ti sei finalmente stancato del tuo sport dopo tutti questi anni?» Lanfear rise sommessamente.
«Qualcuno ha nominato lo sport?»
Rahvin non aveva nemmeno notato aprirsi un terzo passaggio, che mostrava un’ampia stanza piena di statue e colonne scanalate, popolata da acrobati seminudi e cameriere anche più discinte. Stranamente un vecchio uomo ricurvo vestito di una giubba stropicciata sedeva sconsolato fra gli artisti. Due inservienti avvolti da veli trasparenti e inutili, un uomo muscoloso con un vassoio dorato e una bellissima donna voluttuosa che versava il vino da una caraffa di cristallo in una coppa dello stesso materiale appoggiata sul tavolo seguirono la nuova arrivata prima che l’apertura svanisse.
Accanto a qualsiasi altra donna, a parte Lanfear, Graendal sarebbe stata considerata una bellezza sfolgorante, rigogliosa e matura. Indossava un abito di seta verde dalla scollatura profonda. Un rubino grande come un uovo di gallina le scendeva in mezzo ai seni e un diadema tempestato di altri rubini riposava sui capelli biondo oro. Vicino a Lanfear appariva solo come una graziosa ragazza paffuta. Se pure l’inevitabile paragone la infastidiva, il sorriso divertito non lo lasciava trapelare.
I braccialetti d’oro tintinnarono mentre gesticolava con la mano inanellata alle sue spalle. La cameriera le mise velocemente la coppa fra le mani con un sorriso agitato che era lo stesso dell’uomo. Graendal non lo notò. «Allora» esordì gaia. «Quasi la metà dei Prescelti sopravvissuti in un solo posto. E nessuno che tenti di uccidere qualcuno. Chi se lo sarebbe aspettato prima del ritorno del Sommo Signore delle Tenebre? Ishamael è riuscito a tenerci lontano uno dall’altro fino a ora, ma questo...»
«Parli sempre così liberamente davanti ai tuoi servitori?» osservò Sammael facendo una smorfia.
Graendal batté le palpebre e guardò la coppia come se si fosse dimenticata di loro. «Non parleranno o faranno la spia, mi adorano. Vero?» I due si gettarono in ginocchio, balbettando delle lodi. Era vero, la amavano sul serio. Adesso. Dopo un po’ la donna aggrottò le sopracciglia e i servitori si immobilizzarono con le bocche mezze aperte. «Adesso potranno continuare nei loro servigi senza disturbarti, va bene?»
Rahvin scosse il capo, chiedendosi chi fossero o chi erano stati. La bellezza esteriore non era sufficiente per i servitori di Graendal, dovevano essere potenti e avere avuto una posizione elevata. Un ex lord come valletto, una lady per prepararle il bagno, questi erano i gusti di Graendal. Assecondare i propri desideri era un conto, ma la donna faceva degli sprechi. Quei due avrebbero potuto essere utili se manipolati opportunamente, ma il livello di coercizione che Graendal esercitava certamente li aveva resi poco più che oggetti ornamentali. La donna non era fine.
«Devo aspettarmi altri, Lanfear?» gridò. «Hai convinto Demandred a smettere di pensare che lui sia l’erede del Sommo Signore?»
«Dubito che sia sufficientemente arrogante per quello» rispose calma Lanfear. «Può vedere dove il pensiero ha portato Ishamael. E questo è il punto. Un punto che Graendal ha sollevato. Una volta eravamo tredici, immortali. Adesso quattro sono morti e uno ci ha traditi. Noi quattro siamo i soli che si incontreranno qui oggi.»
«Sei sicura che Asmodean sia caduto?» chiese Sammael. «Prima d’ora non ha mai avuto il coraggio di correre dei rischi. Dove ha trovato il fegato di unirsi a una causa persa?»
Il sorriso di Lanfear era divertito. «Aveva avuto il coraggio di tendere un’imboscata che credeva lo avrebbe elevato al di sopra di tutti noi. E quando si è trovato a scegliere fra la morte e una causa persa, gli è servito poco coraggio per scegliere.»
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