Robert Jordan - Crocevia del crepuscolo

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Togliendosi i guanti d’arme, Ituralde se li infilò dietro la cintura e controllò il proprio merletto mentre saliva le scale con Jaalam. Neve calpestata e di nuovo congelata scricchiolava sotto i suoi stivali. Evitò di deviare lo sguardo verso altre direzioni, tenendolo fisso davanti a sé. Doveva sembrare estremamente sicuro di sé, come se non ci fosse alcuna possibilità che gli eventi andassero in modo diverso da come si aspettava. La fiducia era una chiave per la vittoria. Il fatto che la controparte ritenesse che avevi fiducia in te stesso a volte era importante quanto la fiducia vera e propria. In cima alle scale, Jaalam aprì una delle alte porte istoriate tirando il suo anello dorato. Prima di entrare Ituralde toccò il proprio neo artificiale con un dito per essere sicuro che fosse al suo posto – le sue guance erano troppo fredde per percepire la stellina di velluto nero che vi aderiva. Era tanto sicuro di sé quanto lo sarebbe stato a un ballo.

L’atrio cavernoso era gelido come l’esterno. Il loro respiro si tramutava in sbuffi di nebbiolina. Non illuminato, lo spazio sembrava già avvolto nel crepuscolo. Il pavimento era un colorito mosaico di cacciatori e animali, le tessere scheggiate in alcuni punti, come se grossi pesi vi fossero stati trascinati o forse lasciati cadere. A parte un singolo piedistallo rovesciato su cui una volta poteva essere stato appoggiato un grosso vaso o una statuetta, la sala era spoglia. Quello che i servitori non avevano preso quando erano fuggiti era stato depredato molto tempo addietro dai banditi. Un singolo uomo li attendeva, dai capelli bianchi e più scarno dell’ultima volta che Ituralde l’aveva visto. Il suo pettorale era rovinato e il suo orecchino era un semplice cerchietto d’oro, ma il suo merletto era immacolato e il luccicante quarto di luna rosso che aveva accanto all’occhio sinistro sarebbe andato bene per la corte, in tempi migliori.

«Per la Luce, che tu sia il benvenuto sotto il Nastro Bianco, lord Ituralde» disse in tono formale, facendo un leggero inchino.

«Per la Luce, giungo sotto il Nastro Bianco, lord Shimron» rispose Ituralde, rivolgendogli a sua volta una riverenza. Shimron era stato uno dei consiglieri più fidati di Alsalam. Finché non si era unito ai fautori del Drago, perlomeno. Ora rivestiva un’alta posizione nelle loro adunanze. «Il mio armigero è Jaalam Nishur, legato da un vincolo d’onore alla casata Ituralde, così come tutti coloro che sono giunti con me.»

Non c’era stata alcuna casata Ituralde prima di Rodel, ma Shimron rispose all’inchino di Jaalam, la mano sul cuore. «Onore all’onore. Vuoi accompagnarmi, lord Ituralde?» disse mentre si raddrizzava.

I grandi portoni per la sala da ballo mancavano dai loro cardini, anche se Ituralde non riusciva a immaginare che dei banditi se li fossero portati via. Rimaneva un alto arco a ogiva tanto largo da far passare dieci uomini. All’interno della stanza ovale priva di finestre, una cinquantina di lanterne di ogni forma e dimensione ricacciavano indietro le ombre, anche se la luce raggiungeva a malapena il soffitto a cupola. Separati da un’ampia porzione di pavimento, due gruppi di uomini erano in piedi contro le pareti dipinte; e se il Nastro Bianco li aveva indotti a togliersi gli elmi, tutti i duecento e più avevano comunque indosso l’armatura, e di certo nessuno aveva messo da parte la propria spada. Da un lato c’erano pochi lord domanesi potenti quanto Shimron – Rajabi, Wakeda, Ankaer – ognuno circondato dal suo capannello di lord inferiori e cittadini comuni che avevano giurato loro fedeltà e altri gruppetti, anche di sole due o tre persone, molti dei quali non comprendevano affatto nobili. I fautori del Drago avevano concili, ma nessun unico comandante. Tuttavia, ognuno di quegli uomini era un capo riconosciuto, alcuni contavano i loro seguaci a decine, pochi altri a migliaia. Nessuno pareva felice di essere dove si trovava, e uno o due scoccavano occhiatacce dall’altro lato della stanza, dove cinquanta o sessanta Tarabonesi erano radunati in una schiera solida e ricambiavano gli sguardi ostili. Potevano pure essere tutti fautori del Drago, tuttavia c’era poco affetto fra Domanesi e Tarabonesi. Ituralde quasi sorrise alla vista dei forestieri, però. Non aveva osato contare sul fatto che oggi apparisse anche solo la metà di loro.

«Lord Rodel Ituralde giunge sotto il Nastro Bianco.» La voce di Shimron risuonò attraverso le ombre proiettate dalle lanterne. «Che chiunque abbia propositi di violenza interroghi il suo cuore ed esamini la sua anima.» E quella fu la fine delle formalità.

«Perché lord Ituralde offre il Nastro Bianco?» domandò Wakeda, una mano che afferrava l’elsa della sua spada lunga e l’altra stretta a pugno al proprio fianco. Non era un uomo alto, anche se più di Ituralde, ma arrogante come se fosse lui a detenere il trono. Le donne lo avevano reputato bello, un tempo. Ora una nera fascia obliqua copriva l’orbita del suo occhio destro mancante, e il suo neo artificiale era una punta di freccia nera che indicava la spessa cicatrice che gli correva dalla guancia fino alla fronte. «Intende unirsi a noi? O ci chiede di arrenderci? Tutti sanno che il Lupo è tanto audace quanto infido. È forse così audace?» Un mormorio si levò fra gli uomini dal suo lato della stanza, in parte risata, in parte rabbia.

Ituralde serrò le mani dietro la schiena per trattenersi dal tastare il rubino al suo orecchio sinistro. Era risaputo che quel gesto indicava che era adirato, e talvolta lo faceva di proposito, ma aveva bisogno di mostrare un aspetto calmo, ora. Perfino mentre quell’uomo lo dileggiava! No. Calma. Si ingaggiavano duelli in preda alla rabbia, ma lui era qui per combattere, e ciò esigeva calma. Le parole potevano essere armi più mortali delle spade.

«Ogni uomo qui sa che abbiamo un altro nemico al sud» disse con voce ferma. «I Seanchan hanno inghiottito Tarabon.» Fece passare il suo sguardo sui Tarabonesi e incontrò occhi inespressivi. Non era mai stato in grado di interpretare i volti dei Tarabonesi. Fra quei ridicoli baffi come zanne pelose – peggio di quelli di un Saldeano! – e quegli assurdi veli, era come se indossassero delle maschere, e la fioca luce delle lanterne certo non aiutava. Ma li aveva visti velati di cotte di maglia, e aveva bisogno di loro. «Hanno inondato la piana di Almoth e si sono mossi sempre più a nord. Il loro intento è chiaro. Hanno intenzione di impadronirsi anche dell’Arad Doman. Mirano al mondo intero, temo.»

«Lord Ituralde vuole sapere chi sosterremo se questi Seanchan ci invadono?» domandò Wakeda.

«Confido davvero che combatterete per l’Arad Doman, lord Wakeda» disse Ituralde in tono pacato. Wakeda si fece porpora a quell’insulto diretto scagliato contro di lui, e le mani degli uomini a lui fedeli andarono alle else delle proprie spade.

«I profughi hanno portato la notizia che vi sono gli Aiel sulla piana, ora» Shimron si affettò a inserirsi, come se temesse che Wakeda potesse rompere il Nastro Bianco. Nessuno degli uomini fedeli a Wakeda avrebbe estratto l’acciaio a meno che non l’avesse fatto lui o l’avesse ordinato. «Combattono per il Drago Rinato, così dicono i rapporti. Deve averli mandati lui, forse come supporto per noi. Nessuno ha mai sconfitto un’armata di Aiel, nemmeno Artur Hawkwing. Ti ricordi la Neve di Sangue, lord Ituralde, quando eravamo più giovani? Ritengo che tu sia d’accordo con me che lì non li sconfiggemmo, qualunque cosa dicano le storie, e non posso credere che i Seanchan dispongano dei nostri stessi numeri di allora. Ho personalmente sentito che i Seanchan si stanno spostando a sud, lontano dal confine. No, sospetto che le prossime notizie su di loro diranno che si staranno ritirando dalla piana, non avanzando verso di noi.» Non era male in qualità di comandante sul campo, ma era sempre stato pedante.

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