Robert Jordan - Crocevia del crepuscolo
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«Puoi correre altrettanto velocemente adesso?» Raddrizzandosi, diede di talloni.
Bela non poteva galoppare come Daishar, ma le sue robuste zampe spumeggiavano nella neve. Era stata un cavallo da tiro, un tempo, non da corsa o da guerra, ma diede quanto poteva, allungando il collo con lo stesso ardore che avrebbe avuto Daishar. Bela si slanciò in avanti e il sole scivolò più in basso come se all’improvviso potesse scorrere più facilmente nel cielo. Egwene si chinò in basso, sulla sella e spronò la giumenta in avanti. Una corsa contro il sole che Egwene sapeva di non poter vincere. Ma perfino se non poteva batterlo, c’era ancora tempo. Percuoteva i talloni a ritmo con gli zoccoli di Bela, e lei correva. Il crepuscolo si stese su di loro, e poi l’oscurità, prima che Egwene vedesse la luna scintillare sull’acqua del fiume Erinin. C’era ancora tempo. Era quasi il punto in cui si era fermata su Daishar con Gareth, a osservare le navi scivolare verso Tar Valon. Fece arrestare Bela e si mise in ascolto.
Silenzio. E poi un’imprecazione soffocata. I sommessi grugniti e il raschiare di uomini che trascinavano un carico pesante fra la neve e cercavano di farlo in silenzio. Fece voltare Bela fra gli alberi in direzione dei suoni. Le ombre si mossero e lei udì il tenue sussurro di acciaio che scivolava dai foderi.
Poi un uomo borbottò, non abbastanza sottovoce: «Conosco quel pony. È una delle Sorelle. Quella che dicono fosse Amyrlin. A me non sembra. Non è più vecchia di quella che dicono sia Amyrlin ora.»
«Bela non è un pony» replicò Egwene in tono deciso. «Portatemi da Bode Cauthon.»
Una dozzina di uomini presero forma dalle ombre notturne fra gli alberi, circondando lei e Bela. Parevano tutti pensare che lei fosse Siuan, ma questo andava bene. Per loro si trattava comunque di una Aes Sedai, e la guidarono fin dove Bode era in sella a un cavallo non molto più alto di Bela, con un mantello scuro attorno a sé. Anche il suo vestito era scuro. Il bianco avrebbe risaltato, di notte.
Anche Bode riconobbe Bela e allungò una mano per grattare con affetto l’orecchio della giumenta quando Egwene le si accostò.
«Rimarrai a riva» disse piano Egwene. «Puoi tornare assieme a me quando tutto sarà finito.»
Bode tirò indietro la mano con un sussulto, come se fosse stata punta dal suono della voce di Egwene. «Perché?» disse, ma non era proprio una domanda. Almeno questo lo aveva imparato. «Posso farlo. Leane Sedai me l’ha spiegato e sono in grado di farlo.»
«So che lo sei. Ma non bene quanto me. Non ancora.» Quel commento parve troppo simile a una critica che l’altra donna non si era meritata. «Io sono l’Amyrlin Seat, Bode. Alcune decisioni sono una mia prerogativa. E ci sono cose che non dovrei chiedere di fare a una novizia, quando io posso farle meglio.» Forse questo non era un granché più tenero, ma non poteva spiegarle di Larine e Nicola, o del prezzo che la Torre Bianca esigeva da tutte le sue figlie. L’Amyrlin non poteva spiegare la prima ragione a una novizia, e una novizia non era pronta a sapere la seconda.
Perfino nella notte, dal modo in cui Bode incurvò le spalle si poteva capire che non comprendeva, ma che aveva anche imparato a non discutere con le Aes Sedai. Proprio come aveva imparato che Egwene era Aes Sedai. Il resto l’avrebbe appreso col tempo. E la Torre poteva prendersi tutto il tempo necessario per insegnarle. Smontando, Egwene porse le redini di Bela a uno dei soldati e sollevò le gonne per arrancare fra la neve verso i suoni affaticati che indicavano qualcosa che veniva trascinato. Si trattava di una grossa barca a remi, che veniva tirata e spinta fra la neve come una slitta. Una slitta voluminosa che doveva essere manovrata fra gli alberi, anche se con meno imprecazioni una volta che gli uomini impegnati a tirare e a spingere si resero conto che lei li stava seguendo da vicino. Molti uomini tenevano a freno la lingua quando c’era una Aes Sedai nei paraggi, e anche se non potevano vedere il suo volto per via dell’oscurità e del cappuccio, chi altri poteva trovarsi presso il fiume? E anche se sapevano che non si trattava della stessa donna che sulle prime avrebbe dovuto accompagnarli, chi metteva in discussione le Aes Sedai?
Fecero scivolare la barca nel fiume, attenti agli schizzi, e sei uomini si arrampicarono a bordo per inserire i remi in scalmi imbottiti di stracci. Gli uomini erano a piedi nudi, per evitare il rumore di uno stivale che sfregasse le assi dello scafo. Imbarcazioni più piccole navigavano su quelle acque, ma stanotte dovevano dominare le correnti. Uno degli uomini sulla sponda le diede una mano per reggersi mentre saliva a bordo e lei si sistemò su un sedile a prua, tenendo stretto il proprio mantello. La barca scivolò via dalla riva, silenziosa tranne per il debole mulinare dei remi nell’acqua.
Egwene guardò avanti, a sud verso Tar Valon. Le bianche mura brillavano alla luce di una luna calante quasi piena, e finestre illuminate da lampade conferivano alla città un bagliore soffuso, quasi come se l’isola stesse abbracciando saidar. La Torre Bianca si stagliava perfino nell’oscurità, le finestre illuminate, la grande massa che scintillava sotto la luna. Qualcosa guizzò davanti alla luna e a Egwene si mozzò il fiato. Per un istante pensò che si fosse trattato di un Draghkar, un avvistamento maligno proprio quella notte. Solo un pipistrello, decise. La primavera poteva essere ormai prossima perché i pipistrelli svolazzassero in giro. Stringendo il mantello ancora di più, scrutò verso la città che si faceva più vicina. Più vicina.
Quando l’alto muro del porto nord torreggiò di fronte alla barca, gli uomini remarono all’indietro e la prua dell’imbarcazione evitò per poco di urtare la parete accanto all’entrata del porto. Quell’urto sarebbe stato di sicuro udito dai soldati di guardia. Invece i remi fecero solo un piccolo rumore gorgogliante mentre scorrevano all’indietro, e la barca si fermò dove lei avrebbe potuto toccare la massiccia catena di ferro che chiudeva il porto, i suoi enormi anelli che emettevano un debole bagliore per via del grasso che li ricopriva.
Non c’era bisogno di toccarli, però. Né di aspettare. Abbracciando saidar , fu a malapena consapevole dell’eccitazione della vita che la riempiva prima di aver messo i flussi al loro posto. Terra, Fuoco e Aria a circondare la catena; Terra e Fuoco a toccarla. Il ferro nero divampò bianco per tutta la lunghezza dell’imboccatura del porto. Ebbe appena il tempo di accorgersi che qualcuno aveva abbracciato la Fonte non lontano, sul muro sopra di lei, poi qualcosa colpì la barca, colpì lei, ed Egwene si rese conto che l’acqua fredda la stava avviluppando, riempiendole il naso, la bocca. Poi buio.
Egwene percepì qualcosa di duro sotto di lei. Udì voci di donne. Voci eccitate.
«Sai chi è questa?»
«Bene bene. Di certo abbiamo ottenuto di meglio di quanto pattuito, stanotte.»
Qualcosa le venne premuto contro la bocca e un liquido caldo le colò dentro, con un vago sapore di menta. Deglutì fra gli spasmi, tutt’a un tratto conscia di quanto avesse freddo, dei brividi che la squassavano. I suoi occhi si aprirono tremolanti. E si fissarono sul volto della donna che teneva la sua testa e la tazza. Le lanterne in mano ai soldati assiepati attorno fornivano abbastanza luce per permetterle di distinguere quel viso con chiarezza. Un viso senza età. Era all’interno del porto nord.
«Ecco qua, ragazza» disse l’Aes Sedai come per incoraggiarla.
«Bevilo tutto. Una dose forte, per ora.»
Egwene cercò di spingere via la tazza, cercò di abbracciare saidar , ma poteva sentirsi scivolare di nuovo nell’oscurità. La stavano aspettando. Era stata tradita. Ma da chi?
Epilogo
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