Fredric Brown - Galleria di specchi

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«Ho messo dentro un altro cubo e l’ho spedito indietro di due anni. Il secondo cubo è tornato immutato, soltanto era più nuovo, più lucido.

«Questo mi ha dato la risposta. Mi ero aspettato che i cubi andassero indietro nel tempo, e l’avevano fatto, non nel senso che mi ero aspettato facessero. Quei cubi metallici erano stati fabbricati all’incirca tre anni prima. Avevo spedito il primo in un tempo precedente a quello in cui era esistito nella sua forma purificata e modellata. Dieci anni prima era stato minerale grezzo. La macchina l’aveva riportato a quello stato.

«Capisci dove le nostre precedenti teorie sui viaggi del tempo si sbagliavano? Ci aspettavamo di poter entrare in una macchina del tempo, diciamo, 2004, regolandola su cinquanta anni prima, e poi uscir fuori nel 1954… ma non funziona così. La macchina non si sposta nel tempo. Soltanto quello che si trova all’interno della macchina rimane influenzato, e anche allora soltanto in rapporto con se stesso e non con il resto dell’universo.

«Ho confermato questo con delle cavie, spedendone una di sei settimane indietro di cinque, ed è ritornata cucciola.

«Qui non c’è bisogno che ti descriva tutti i miei esperimenti. Troverai una documentazione di questi nella scrivania e potrai studiarli più tardi.

«Capisci, adesso, cosa ti è successo, Norman?»

Tu cominci a capire. E cominci a sudare.

L’ Io che ha scritto quella lettera che tu adesso stai leggendo sei tu, tu adesso all’età di settantacinque anni, nell’anno 2004. Sei tu quel settantacinquenne, con il tuo corpo tornato quello che era cinquant’anni prima, con tutti i ricordi di cinquant’anni di vita spazzati via.

Tu hai inventato la macchina del tempo.

E prima di usarla su te stesso, hai preso tutte queste misure per aiutare te stesso ad orientarti. Hai scritto a te stesso la lettera che stai leggendo.

Ma se quei cinquant’anni sono — per te — scomparsi, cosa ne è stato di tutti i tuoi amici, di coloro che amavi? E dei tuoi genitori? E della ragazza che stai — che stavi — per sposare?

Riprendi a leggere:

«Sì, vorrai sapere cos’è successo. Mamma è morta nel 1963. Papà nel 1968. Tu hai sposato Barbara nel 1956. Mi spiace dirti che è morta soltanto tre anni più tardi, in un incidente aereo. Hai un figlio. Vive ancora: il suo nome è Walter; adesso ha quarantasei anni e lavora come contabile a Kansas City».

Le lacrime ti salgono agli occhi e per un momento non riesci più a leggere. Barbara morta… morta da quarantacinque anni. E soltanto pochi minuti fa, in tempo soggettivo, eri seduto accanto a lei, seduto al luminoso sole di un patio di Beverly Hills…

Ti costringi a leggere di nuovo.

«Ma torniamo alla scoperta. Cominci a capire alcune delle sue implicazioni. Avrai bisogno di tempo per pensare, così da poterle capire tutte.

«Non permette i viaggi nel tempo come li avevamo pensati, ma ci dà una certa immortalità. Un’immortalità del tipo di quella che ha dato temporaneamente a noi.

« È bene? Vale la pena perdere i ricordi di cinquant’anni della nostra vita per far ritornare il proprio corpo ad una relativa giovinezza? L’unico modo per scoprirlo è quello di tentare, non appena avrò terminato di scrivere questa lettera e ultimato tutti gli altri preparativi.

«Sarai tu a conoscere la risposta.

«Ma prima di decidere, ricorda che esiste un altro problema, più importante di quello psicologico. Voglio dire, la sovrappopolazione.

«Se la nostra scoperta verrà data al mondo, se tutti coloro che sono vecchi o morenti potessero ridiventare giovani, la popolazione finirebbe quasi per raddoppiare a ogni generazione. Né il mondo — neppure il nostro paese relativamente illuminato — accetterebbe come soluzione il controllo obbligatorio delle nascite.

«Dai questo al mondo, com’è il mondo oggi nel 2004, e nel giro d’una generazione ci saranno carestie, sofferenze, guerra. Forse un completo crollo della civiltà.

«Sì, abbiamo raggiunto altri pianeti, ma non sono adatti alla colonizzazione. Le stelle potrebbero essere la nostra risposta, ma siamo ancora molto lontani dal poterle raggiungere.

«Quando lo faremo, un giorno, i miliardi di pianeti abitabili che sono là fuori saranno la nostra risposta… il nostro spazio vitale, ma fino ad allora, qual è la risposta?

«Distruggere la macchina? Ma pensa alle innumerevoli vite che essa può salvare, alle sofferenze che può impedire. Pensa cosa significherebbe per un uomo che stesse morendo di cancro. Pensaci…»

Pensaci. Finisci la lettera e la metti giù.

Pensi a Barbara morta da quarantacinque anni. E al fatto che sei stato sposato con lei per tre anni e che questi anni per te sono persi.

Cinquant’anni persi. Maledici il vecchio di settantacinque anni che sei diventato e che ti ha fatto questo… che ti ha affidato questa decisione da prendere.

Amaramente, tu sai quale dovrà essere la decisione. Pensi che anche lui lo sapeva, e ti rendi conto che poteva tranquillamente affidarla alle tue mani. Dannazione a lui: l’aveva saputo fin troppo bene.

Troppo preziosa per distruggerla. Troppo pericolosa per donarla.

L’altra risposta è penosamente ovvia.

Devi essere tu il custode di questa scoperta e tenerla segreta fino a quando donarla non sarà più pericoloso, fino a quando l’umanità non si sarà espansa fino alle stelle e avrà nuovi mondi da popolare, o fino a quando, anche senza questo, non avrà raggiunto un tale stadio di civiltà da poter evitare la sovrappopolazione razionando le nascite in base al numero delle morti accidentali o volontarie.

Se nessuna di queste cose sarà avvenuta entro altri cinquant’anni (ed è davvero così probabile che succeda tanto presto?) allora tu, all’età di settantacinque anni, scriverai un’altra lettera come questa. Subirai un’altra esperienza simile a quella che hai vissuto adesso. E prenderai la stessa decisione, naturalmente.

Perché no? Sarai di nuovo la stessa persona.

Più e più volte per conservare questo segreto fino a quando l’uomo non sarà pronto ad accoglierlo.

Quante altre volte tornerai a sederti ad una scrivania come questa, pensando i pensieri che stai pensando adesso, provando il dolore che provi adesso?

Senti uno scatto alla porta, e sai che la serratura a tempo si è aperta, che adesso tu sei libero di lasciare questa stanza, libero di cominciare una nuova vita per te stesso, al posto di quella che hai già vissuto e perduto.

Ma adesso non hai alcuna fretta di passare attraverso quella porta.

Te ne stai seduto qui, tenendo lo sguardo fisso davanti a te come un cieco, contemplando con l’occhio della tua mente la visione di una serie di specchi posti l’uno di fronte all’altro, come quelli di un negozio di barbiere d’un tempo, che continuavano a riflettere la stessa cosa, rimpicciolendo via via in remote distanze.

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