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Henry Kuttner: Ciò che ti serve

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Henry Kuttner Ciò che ti serve

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Henry Kuttner e C. L. Moore

Ciò che ti serve

La scritta diceva così, appunto. Tim Carmichael, che lavorava per un giornale economico, e arrotondava il suo magro salario vendendo articoli sensazionali e inattendibili ai rotocalchi, non riuscì a cogliere neppure il germe d’un articolo in quellla scritta all’incontrarlo. Pensò che fosse una qualche trovata pubblicitaria da quattro soldi, qualcosa che raramente si incontrava in Park Avenue, dove le vetrine dei negozi erano famose per la loro classica dignità.

Provo una viva irritazione.

Digrignò i denti in silenzio, proseguì lungo la sua strada, poi d’un tratto si girò e tornò indietro. Non era abbastanza forte e deciso da resistere alla tentazione di chiarire la frase, anche se il suo fastidio crebbe. Si fermò davanti alla vetrina, alzando gli occhi, e compitò tra sé: «“Noi abbiamo ciò che ti serve”. Ma…?»

La scritta era formata da una successione di lettere piccole e ben tracciate su una striscia che si stendeva di traverso su uno stretto pannello di vetro. Il vetro era una tipica vetrina anti-riflesso, ricurva. Attraverso il vetro Carmichael vide una distesa di velluto bianco, con pochi oggetti disposti con cura sopra di esso. Un chiodo arrugginito, una racchetta da neve e una tiara tempestata di diamanti. Pareva una decorazione di Dalì per Cartier o Tiffany.

«Gioiellieri?» si chiese Carmichael. «Ma perché ciò che ti serve? »

Immaginò dei milionari afflitti e sconsolati perché gli mancava un filo di perle per fare il paio, ereditiere in lagrime perché non riuscivano a trovare un rubino stellato. Il principio basilare del commercio di lusso stava nel trattare con la crema della domanda e dell’offerta. Poche persone avevano bisogno di diamanti. E perché? Perché li volevano, e basta, e potevano permetterseli.

«Oppure potrebbero vendere lampade magiche», decise Carmichael. «O bacchette magiche. Ma con lo stesso principio del cappello a cilindro dell’illusionista: una trappola per i creduloni. Mettete fuori un cartello con scritta sopra una qualunque assurdità, e la gente entrerà a fiotti e pagherà a contanti. Gonzi a tre per un soldo…»

Quella mattina era tutto un bruciore di stomaco e provava antipatia per il mondo intero. La prospettiva d’un capro espiatorio l’attraeva, e la sua tessera di giornalista gli dava un certo vantaggio. Spinse la porta ed entrò nel negozio.

Sì. Era proprio Park Avenue. Non c’erano banchi o bacheche. Avrebbe potuto essere una galleria d’arte poiché alle pareti erano appesi alcuni olii d’egregia fattura Carmichael fu colpito da un misto di lusso oppressivo e di inanimata desolazione.

Una tenda sul fondo si mosse e ne uscì un uomo alto, dai capelli bianchi pettinati con cura, un volto sano e florido, e un paio di acuti occhi azzurri. Avrebbe potuto essere sulla sessantina. Indossava un costoso abito di tweed, alquanto stazzonato, che strideva con l’ordine impeccabile di quell’ambiente.

«Buongiorno», disse l’uomo, dopo una rapida occhiata agli indumenti di Carmichael. Parve un po’ sorpreso. «Cosa posso fare per lei?»

«Qualcosa… forse». Carmichael si presentò ed esibì la sua tessera.

«Oh? Il mio nome è Talley. Peter Talley».

«Ho visto la scritta, là fuori».

«Oh?»

«Il nostro giornale è sempre a caccia di argomenti interessanti per i suoi articoli. Non ho mai notato il suo negozio prima d’ora…»

«Sono qui da anni», disse Talley.

«Questa è una galleria d’arte?»

«Be’… no».

La porta esterna si apri. Un uomo dall’aspetto florido entrò e salutò Talley cordialmente. Carmichael, nel riconoscere il cliente, sentì crescere in se l’opinione che aveva del negozio. L’uomo florido era un Nome… e dei più grossi.

«È un po’ presto, signor Talley», disse l’uomo, «ma non volevo tardare. Ha avuto il tempo di procurarmi ciò… che mi serviva?»

«Oh, sì. L’ho qui. Un momento, prego». Talley riattraversò in fretta la tenda e tornò quasi subito con un pacchetto bene incartato che consegnò all’uomo florido. Quest’ultimo gli porse un assegno — Carmichael intravide la somma e deglutì — e se ne andò. La sua macchina era parcheggiata là fuori, accanto al marciapiede.

Carmichael si avvicinò alla porta, e guardò fuori. L’uomo florido pareva impaziente. Il suo autista attese, immobile e con lo sguardo vacuo, mentre il pacchetto veniva aperto da dita frettolose.

«Non sono sicuro di desiderare pubblicità, signor Carmichael». disse Talley. «Ho una clientela… scelta con cura».

«Forse i nostri bollettini economici settimanali potrebbero interessarla».

Talley dominò chiaramente una risata. «Oh, non credo. Non è proprio il nostro ramo».

L’uomo florido aveva finalmente aperto il pacchetto, tirandone fuori un uovo. Da quanto Carmichael poteva vedere, lì accanto alla porta, si trattava soltanto d’un comunissimo uovo. Ma il suo proprietario lo stava contemplando quasi con reverenza. Quell’uomo non avrebbe potuto essere più felice se l’ultima gallina della Terra fosse morta dieci anni prima. Qualcosa che assomigliava a un profondo sollievo comparve sul volto di quell’individuo, abbronzato dal sole della Florida.

Disse qualcosa all’autista, e la macchina parti con fluido movimento, scomparendo dietro l’angolo.

«Lei si occupa del settore lattiero-caseario?» chiese d’un tratto Carmichael.

«No».

«Le spiace dirmi qual è il suo ramo?»

«Mi spiace, ma temo proprio che mi dispiaccia», replicò Talley.

Carmichael cominciava ad annusare un servizio. «Certo, potrei scoprirlo da me, tramite la Camera di Commercio…»

«Non potrebbe».

«No? Potrebbe interessare molto a qualcuno scoprire come mai un uovo può valere cinquemila dollari per uno dei suoi clienti».

Talley replicò: «La mia clientela è così ristretta che devo far pagare prezzi molto alti. Lei… ehm… saprà che un mandarino cinese ha pagato migliaia di tael per un uovo di comprovata antichità».

«Il tizio che è stato qui poco fa non era un mandarino cinese», obbiettò Carmichael.

«Oh, be’… Come le ho già detto, la pubblicità non m’interessa».

«Io credo di si, invece. Mi sono occupato di pubblicità, una volta. L’aver esposto quella sua scritta all’incontrano è un amo con un’esca molto ovvia…»

«Allora lei non è uno psicologo», ribatté Talley. «È soltanto che posso permettermi di soddisfare i miei capricci. Per cinque anni ho guardato ogni giorno quella vetrina e ho letto la scritta a rovescio dall’interno del mio negozio. La cosa mi dava fastidio. Sa quanto una parola comincia a sembrare strana, se si continua a guardarla? Qualunque parola. Diventa qualcosa che non corrisponde a niente nel linguaggio umano. Be’, ho scoperto che mi stava venendo una nevrosi, a causa di quella scritta. All’incontrario non ha alcun senso, ma io continuavo a leggerci un significato. Quando ho cominciato a compitare dentro di me ‘Evres it ehc oic omaibba ion’, mettendomi a cercare derivazioni filologiche, mi son deciso a chiamare un pittore d’insegne. E la gente abbastanza interessata continua a entrare».

«Non molti», disse astutamente Carmichael. «Questa è Park Avenue. E lei ha sistemato il locale in modo troppo costoso. Nessuno, a basso o medio reddito, entrerebbe qua dentro. Perciò lei dirige un’azienda rivolta esclusivamente all’alto reddito».

«Be’», ammise Talley. «Sì, lo faccio».

«E non vuol dirmi di che si tratta?»

«Preferirei di no».

«Posso scoprirlo, sa? Potrebbe essere droga, pornografia, scommesse clandestine…»

«Assai probabile», annuì Talley, senza scomporsi. «Acquisto gioielli rubati, li nascondo dentro alle uova, e li rivendo ai miei clienti. Oppure quell’uovo era pieno di microscopiche fotografie pornografiche. Buongiorno, signor Carmichael».

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