Robert Solverberg - La strada del crepuscolo

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La strada del crepuscolo: краткое содержание, описание и аннотация

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Robert Silverberg non ha bisogno di presentazione: unanimemente riconosciuto come uno dei massimi autori della fantascienza contemporanea, Silverberg ha contribuito in maniera unica e incontrastabile all’affermazione di un tipo di fantascienza più matura e impegnata con una lunga serie di splendidi romanzi, tra cui spiccano opere come
,
e
.
Questa storia, rifiutata da tutte le riviste quando fu scritta nel lontano 1954 per la sua tematica scottante e per il collasso morale della figura centrale rimane ancor oggi una delle più belle, per linearità e coerenza di schema, mai composte da quest’autore.

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Le strade erano deserte. Un leggero strato di neve ricopriva ogni cosa, ammantando le rovine contorte della città. Si diresse verso Broadway lasciando le proprie impronte nella neve intatta e puntò verso il centro.

All’incrocio tra la Novantaseiesima e Broadway vide il primo segno di vita, alcuni individui fermi all’angolo della strada. Con crescente eccitazione si diresse verso la Novantacinquesima, ma si fermò di botto.

Riverso sulla neve c’era il cadavere di un uomo morto da poco. E due ragazzi di circa dodici anni stavano combattendo per impossessarsene, mentre un terzo girava circospetto intorno ai due. Katterson li guardò per un attimo, poi attraversò la strada e decise di proseguire. Non gli importava più della neve e della solitudine della città vuota. Manteneva un’andatura ritmata, costante, quasi fosse una macchina. Il mondo si stava sgretolando rapidamente intorno a lui e l’unica speranza era la sua ricerca solitaria.

Si voltò per un attimo guardando dietro di sé. C’erano le sue impronte, una lunga striscia che si perdeva in lontananza, gli unici segni che interrompessero il biancore uniforme. Contò mentalmente gli isolati.

Novantesima. Ottantasettesima. Ottantacinquesima. All’Ottantaquattresima vide una macchia di colore all’isolato seguente e affrettò il passo. Quando fu più vicino, vide che si trattava di un uomo disteso nella neve. Katterson gli si avvicinò e rimase immobile accanto a lui.

Era sdraiato a faccia in giù. Katterson si chinò e lo rivoltò con precauzione. Le guance erano ancora arrossate: evidentemente aveva girato l’angolo ed era morto solo pochi minuti prima. Katterson si raddrizzò e si guardò intorno. Alla finestra della casa più vicina, due visi emaciati erano schiacciati contro il vetro, e stavano osservando con bramosia.

Si voltò di scatto per fronteggiare un uomo piccolo e di carnagione scura in piedi dall’altra parte del cadavere. Si fissarono per un momento, l’uomo piccolo ed il gigante. Katterson notò vagamente gli occhi fiammeggianti dell’altro e la sua espressione decisa. Comparvero altre due persone, una donna scarmigliata ed un bambino di otto o nove anni. Katterson si avvicinò di più al corpo, fingendo di esaminarlo per l’identificazione e intanto teneva d’occhio gli individui di fronte a lui.

Un altro uomo si unì al gruppo e poi un altro ancora. Ora erano in cinque, disposti silenziosamente in semicerchio. Uno di essi fece un cenno e dalla casa vicina uscirono due donne ed un altro uomo. Katterson aggrottò la fronte: stava per succedere qualcosa di spiacevole.

Un fiocco di neve volteggiò nell’aria lentamente. Katterson sentì la fame penetrargli nella carne come un coltello rovente, mentre era lì in piedi ad aspettare che succedesse qualcosa. Il cadavere era come una sorta di steccato tra di loro.

La scena si animò all’improvviso. Il piccolo uomo bruno fece un gesto e si avventò sul cadavere; Katterson si chinò in fretta cercando di sollevare il corpo. Allora tutti gli furono intorno, gridando e tirando il corpo a loro volta. L’uomo bruno afferrò un braccio del cadavere e cominciò a dare degli strattoni, ed una donna afferrò Katterson per i capelli. Katterson sollevò il braccio e colpì più forte che poté e l’ometto si sollevò da terra e volò per alcuni metri, andando a cadere nella neve in un ammasso informe.

Ora gli erano tutti intorno, cercando di afferrare sia lui che il cadavere. Cercò di difendersi, con la mano libera, con i piedi, con le spalle. Nonostante fosse debole e sopraffatto dal numero, la sua statura era ancora un punto di vantaggio. Il suo pugno incontrò la mascella di qualcuno e ci fu un rumore di ossa rotte in risposta; nello stesso momento diede un calcio furibondo che spezzò le costole ad un altro sventurato.

— Andatevene! — gridò. — Andatevene! È mio! Via! — Una delle donne gli balzò addosso e lui le mollò un calcio, mandandola a finire su un mucchio di neve. — Mio! È mio!

Loro erano ancora più indeboliti dalla fame di lui. In pochi minuti tutti giacevano scomposti sulla neve, tranne il bambino, che si avvicinò a Katterson con decisione, fece una finta improvvisa e gli balzò sulla schiena.

Rimase aggrappato, incapace di fare altro. Katterson lo ignorò e fece qualche passo, trasportando sia il cadavere che il ragazzo, mentre sentiva la furia della battaglia raffreddarsi lentamente dentro di sé. Avrebbe portato il cadavere da North; avrebbero potuto tagliarlo in pezzi senza molta difficoltà. Con quello sarebbero vissuti per giorni, pensò. Avrebbero…

Si rese conto di quello che era successo. Lasciò cadere il cadavere e barcollò per un breve tratto cadendo poi nella neve, a capo chino. Il ragazzo scivolò giù dalla sua schiena, e il piccolo gruppo di gente riprese ad avanzare con circospezione, prese il corpo e lo portò via trionfante, lasciando Katterson solo.

— Perdonatemi — mormorò con voce roca. Si leccò nervosamente le labbra, scuotendo il capo. Rimase lì in ginocchio a lungo, incapace di alzarsi.

— No, nessun perdono. Non posso prendere in giro me stesso; sono uno di loro, adesso — disse. Si alzò e fissò le proprie mani e poi cominciò a camminare. Lentamente, metodicamente si trascinò in avanti, giocherellando con il pezzo di carta che aveva in tasca, sapendo che ora aveva perso tutto.

La neve gli si era congelata tra i capelli e lui sapeva di avere la testa imbiancata… la testa di un vecchio. Anche il suo viso era bianco. Per un po’ camminò lungo Broadway, poi tagliò ad ovest verso il Central Park. Davanti a lui la neve era intatta e copriva ogni cosa, segno di un lungo inverno che stava per iniziare.

— North aveva ragione — mormorò sottovoce a quel bianco oceano che era il Central Park. Guardò le macerie che cercavano riparo sotto la neve. — Non resisto più. — Guardò l’indirizzo: Malory, 218 West, 42° Strada, e continuò a camminare, quasi paralizzato dal freddo.

Gli occhi erano ridotti a due fessure, con il volto e le sopracciglia ormai congelate. La gola gli pulsava e le labbra erano serrate per la fame. Settantesima. Sessantacinquesima. Camminava a zig zag, e per un po’ seguì la Columbus Avenue e poi la Amsterdam Avenue, echi di un passato che non era mai esistito.

Passò un’ora, e poi un’altra. Le strade erano vuote. I pochi sopravvissuti se ne stavano al sicuro in casa a morire di fame, e dalle loro finestre guardavano lo strano gigante che arrancava solitario tra la neve. Il sole era quasi scomparso dal cielo quando raggiunse la Cinquantesima. La fame era del tutto svanita: lui non sentiva più nulla, sapeva solo che la meta da raggiungere era diritta davanti a sé. E lui guardava avanti, incapace di seguire qualunque altra direzione.

Finalmente la Quarantaduesima, e subito si diresse dove sapeva di poter trovare Malory. Arrivò all’edificio. Su per le scale, ora, mentre l’oscurità della notte inondava le strade. Su per le scale, un’altra rampa e poi un’altra ancora. Ogni passo era una montagna, ma lui si spinse sempre più sù.

Al quinto piano Katterson ebbe un capogiro e si sedette sull’orlo degli scalini, ansimando. Un cameriere in livrea gli passò davanti, con il naso all’aria, la divisa verde che luccicava nella penombra. Su di un piatto d’argento portava un maialino arrosto con una mela in bocca. Katterson barcollò per afferrare il maialino. Le sue mani annaspanti attraversarono le figure del maiale e del cameriere, e queste ultime esplosero come bolle di sapone dileguandosi nei pianerottoli silenziosi.

Ancora un piano. Carne sfrigolante sul fornello, calda, sugosa, tenera carne che riempiva quel buco dove una volta c’era il suo stomaco. Sollevò con cautela le gambe, uno scalino dopo l’altro, e arrivò infine alla cima. Ebbe un attimo di incertezza appena superato l’ultimo gradino, rischiando di cadere all’indietro, ma all’ultimo momento afferrò la ringhiera e si spinse in avanti.

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