Various - La vita Italiana nel Risorgimento (1846-1849), parte III

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La vita Italiana nel Risorgimento (1846-1849), parte III: краткое содержание, описание и аннотация

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V'ha chi oppone ch'egli tentò l'impossibile, e lo tentò, perchè imbevuto di quel dottrinarismo, che aveva appreso alla scuola del Guizot. Senza negare gli errori del Guizot e dello stesso Rossi, confesso che non partecipo punto al disprezzo dei cosiddetti uomini pratici per la dottrina e alle loro ammirazioni per certi estemporanei della politica, che la corruzione del parlamentarismo fa spuntare (purtroppo per noi, che siamo l' anima vilis dei loro esperimenti) sempre più fitti e più solleciti che mai. Che se il Rossi tentò l'impossibile, dirò che l'impossibile tenta appunto, come una fata morgana, ingegni ed animi pari al suo. Gli altri (oh non ne dubito!) preferiscono serbarsi ad occasioni più facili.

Comunque, ch'egli tentasse l'impossibile non dovette allora essere in tutto l'opinione de' suoi avversari, se per fermarlo ai primi passi non trovarono altro mezzo che ucciderlo e ucciderlo prima (fu una delle grandi preoccupazioni degli assassini e dei loro mandanti) e ucciderlo prima che egli aprisse bocca nel parlamento, da lui riconvocato pel 15 novembre 1848.

V'ha chi oppone ancora: «e s'egli fosse riuscito? Chi sa quando e come si sarebbero potute raggiungere l'unità d'Italia e la fine del poter temporale dei Papi?» Ah! si crede proprio che i primi e veri autori di questi trionfi nazionali siano i dissennati, che spinsero Carlo Alberto a Novara, o gli scellerati, che trucidarono Pellegrino Rossi il 15 novembre 1848? In verità che, a ragionar così, la storia diviene un bel coefficiente di moralità pubblica e privata! Pel Rossi però c'è una considerazione, che dovrebbe, se non altro, ammansare questi terribili conseguenziarii della storia ed è che i Monsignori Romani (lo dice il Cantù, autorità non sospetta) esecravano il Rossi non meno dei demagoghi e che nascosero così poco la loro gioia per quell'eccidio (lo dice il Padre Curci, allora Gesuita) che molti credettero in quel tempo e credono anche oggi alla loro complicità.

La lucidità, la precisione, la rapidità dei provvedimenti, che Pellegrino Rossi prese subito per frenare l'anarchia dilagante per tutto e infondere nuova vita a un cadavere furono meravigliose. Fra tanta dissoluzione d'ogni utensile di governo e tanta inerzia della parte migliore della cittadinanza, mentre in Roma il clericalume ribaldo lo odia, perchè egli ne combatte gli abusi e i privilegi, e la demagogia, rinvigorita dei gregari peggiori, che vi colano da ogni parte, lo assale, lo insulta, lo minaccia, lo scredita ogni giorno, come un rinnegato italiano, che per ambizione e avidità di lucro s'è fatto strumento di tirannia, egli affronta l'uno e l'altra all'aperto; dice chiaro il suo pensiero, non nasconde nulla de' suoi propositi, non indietreggia mai, tocca a tutto, accenna a rinnovar tutta la vita e l'organismo d'uno stato, che non ha più nè organi, nè vita. Con questo minaccia egli forse la libertà? No, certo! Non solo lascia a Roma infuriare una stampa, di cui nulla si può immaginare di più tristo e di più forsennato, ma discute anzi pubblicamente con essa, ed eletto Ministro alla metà di settembre convoca pel 15 novembre le Camere. Gli si rimprovera di aver voluto esser solo e far tutto. Ma chi dovea egli associarsi, se tutti lo lasciarono solo, e chi adoprare, se nessuno valea quanto lui? Un uomo, che si mette a tale sbaraglio, è naturale, che abbia grande coscienza delle proprie forze e se per indole il Rossi era fiero, sprezzante, sarcastico, ognuno ha i difetti delle proprie virtù e i suoi avversari non potevano certo inspirargli atteggiamento migliore.

Resta la sua politica estera, che si riassume tutta nei negoziati per la lega fra gli Stati italiani. È singolare che il rimprovero di non averla conclusa gli venga principalmente dai Mazziniani, che a quest'ora a nient'altro pensavano, se non a proclamare la repubblica unitaria in Roma, e dai Piemontesi, che appunto ora avevano sconfessato il Rosmini, loro ambasciatore, il quale l'avea quasi conclusa, e null'altro volevano se non un contributo immediato d'uomini e di denaro per la ripresa della guerra. A che pro la lega dei Principi per chi voleva abbatterli tutti? A che pro il contributo d'uno Stato disfatto e perchè, se il Rossi, al pari del Gioberti, del Rosmini, di tutti i maggiori uomini italiani, giudicava una follìa disastrosa romper di nuovo la guerra all'Austria? Fatto è che il progetto sostituito dal Rossi a quello del Rosmini ha ben più l'aria di una dilazione, che d'altro, siccome il Congresso federativo promosso dal Gioberti a Torino non fu in sostanza che un'accademia, e la Costituente bandita a Livorno dal Montanelli non fu che il preambolo della repubblica del Mazzini.

S'approssimava intanto il giorno della riconvocazione delle Camere, e per più segni era chiaro al Rossi che i demagoghi volevano tentar in Roma per quel giorno un gran colpo. Si provò a indebolirli e scomporli; ma se mandò in provincia la Legione Romana dei reduci di Vincenza, i peggiori rimasero e s'aggrupparono intorno a Luigi Grandoni; se confinò qualche esule Napoletano dei più torbidi, essi arrivarono a mala pena a Civitavecchia; se disperse uno o due caporioni di congiure occulte o palesi, essi non s'allontanarono quasi, o stettero col piè levato al ritorno; se chiamò Carabinieri e ne fece mostra per le vie, poco c'era da contare sulla loro fedeltà; se processò qualche giornale, aizzò vieppiù le loro ire; se mandò il generale Zucchi contro i facinorosi delle provincie, si tolse da vicino il solo uomo, che avrebbe opposto petto di soldato alla ribellione.

Che cosa rimaneva al Rossi? Il suo coraggio, che in questa inefficace sproporzione, e certamente erronea, dei mezzi col fine, tanto più si palesa qual'era, quello d'un eroe.

Che si congiurasse intorno a lui, che una sommossa fosse prestabilita pel 15 novembre, egli lo sapeva di certo. Che si volesse uccider lui, quantunque dovesse prevederlo e temerlo, non pare che l'abbia saputo di certo, se non all'ultimo momento.

Così almeno s'argomenta dal più recente e autorevole studio su questi fatti (ma sfortunatamente ancora incompiuto), che è quello di Raffaello Giovagnoli. Da che fucine uscissero quelle congiure, l'ha detto il Rossi medesimo nell'articolo che osò pubblicare proprio alla vigilia del 15 novembre. In esso accusa apertamente, senza riserve nè attenuazioni, i clericali e i demagoghi, e dice loro: «badate! non vi darò quartiere!» Quanto a sè stesso: «il mondo sa, concludeva, che vi ha lodi, che offendono e biasimi, che onorano.»

Tali parole, gettate in quell'ultim'ora come una sfida, sulla faccia de' suoi nemici, sono sublimi, e mi è caro ripeterle qui, dinanzi a una udienza, che certo sente profondamente vibrarsi nel cuore quanto v'è di grande, di nobile, di cavalleresco, di fieramente elegante persino, nella sprezzante audacia di quest'uomo.

Ma notate! Egli accusa senz'alcuna distinzione clericali e demagoghi. L'avrebbe fatto il Rossi, ministro del Papa, se non avesse avuto le prove in mano di ciò che affermava? Aggiungete che le carte segrete del Rossi, raccolte la sera stessa del 15 novembre per ordine di Pio IX da monsignor Pentini e da lui consegnate al Papa, nessuno le ha viste mai più.

Al mattino del 15 novembre sulla piazza della Cancelleria era schierato un battaglione di Guardia Civica, che avea fornito una diecina di militi, non più, per le solite sentinelle all'entrata e nell'interno del palazzo. I Carabinieri, per ordine del Rossi, erano consegnati nelle caserme a piazza del Popolo e nel palazzo Borromeo. Nelle vicinanze della Cancelleria molta gente, non folla, varia di condizioni e, a quel che pareva, di opinioni e di sentimenti; curiosi in gran parte; scarsissime le donne. Nel cortile del palazzo, che ha all'intorno portici a due ordini, molti, che vanno e vengono, e a gruppi una sessantina di reduci Vicentini della Legione Romana, tutti colla sozza e logora uniforme di tela, che la plebe solea perciò chiamare: la panuntella . Fra costoro, faccie torbide, agitate, e ora bisbigli all'orecchio, ora bestemmie, e voci di esecrazione e di minaccia al Rossi.

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