Blake Pierce - La Vicina Perfetta

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“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha fatto un ottimo lavoro sviluppando dei personaggi con un lato psicologico così ben descritto da farci sentire come dentro alle loro teste, seguendo le loro paure e gioendo per i loro successi. Pieno di svolte, questo libro vi terrà svegli fino a che non girerete l’ultima pagina.” . –Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (riguardo a Il killer della rosa) . LA VICINA PERFETTA è il libro #9 di una nuova serie di thriller psicologici dell’autore campione d’incassi Blake Pierce, che inizia con La moglie perfetta, un bestseller numero #1 (scaricabile gratuitamente) con quasi 500 recensioni da 5 stelle. . In un quartiere ricco ed esclusivo a Manhattan Beach, una nuova inquilina si trasferisce in una casa di lusso, dove viene ritrovata morto poco dopo. Il caso porta Jessie in un’altra cittadina di mare, evocando i brutti ricordi del suo matrimonio e costringendola ad affrontare i propri demoni, mentre nel contempo tenta di smascherare le bugie di questa cittadina apparentemente perfetta… L’omicidio è collegato a una festa esclusiva dedicata all’élite?. O c’è in ballo un motivo ancora più atroce?. A peggiorare le cose, ora il marito di Jessie è uscito di prigione, tornando ad essere per lei una potenziale minaccia… Un thriller psicologico veloce e pieno di suspence, con dei personaggi indimenticabili, LA VICINA PERFETTA è il libro #9 di una nuova serie che vi terrà incollati alle pagine e non permetterà quasi di andare a dormire..

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“Mi sto effettivamente godendo il cambio di scenario,” confessò Garland. “Quasi non ho voglia di entrare.”

“Eppure…” disse Ryan con riluttanza.

“… dobbiamo,” concluse Garland, facendo segno al collega di fare strada.

Mentre Hernandez camminava davanti a lui in direzione della porta, Garland si meravigliò del giovane detective. Neanche a trent’anni lui aveva mai avuto un aspetto così composto come quello di Ryan Hernandez. Ovviamente non poteva neanche sfoggiare il suo bell’aspetto.

Aveva preso in giro di tanto in tanto Jessie affermando che la sua altezza quasi da guerriera Amazzone, i suoi occhi verdi, i capelli ondulati scuri e gli zigomi ben definiti, mescolati con i capelli corti e neri del suo compagno, gli occhi castani e i pettorali così delineati, avrebbero sicuramente assicurato ai loro potenziali figli un posto di diritto sul Monte Olimpo. La cosa la faceva sempre arrossire. Decise di non fare la stessa battuta al collega.

Entrarono in casa, dove il sergente Breem, un tipo allampanato e molto abbronzato sulla quarantina, che Garland sospettò essere un surfista, li stava aspettando insieme ad altri due agenti e alla squadra addetta alla scena del crimine. Un medico legale stava facendo delle foto al corpo. Il marito non si vedeva da nessuna parte.

Garland si guardò attorno nel foyer, prendendo appunti sul suo blocchetto man mano che i suoi occhi scrutavano ogni dettaglio. Solo quando fu sicuro di essersi fatto un’idea della stanza, guardò la vittima. Priscilla Barton era sdraiata supina con quella che sembrava una calza avvolta attorno al collo.

Aveva evidenti capillari rotti negli occhi sgranati, evidente segno di strangolamento. Indossava un top sportivo rosso, pantaloni da yoga e una ciabatta infradito. L’altra giaceva abbandonata a metà corridoio. Non c’era rigor mortis: non si era ancora gonfiata e la pelle era solo leggermente pallida, tutti segni che suggerivano che la morte fosse piuttosto recente, probabilmente non più di due ore prima.

“Sergente Breem,” disse Hernandez, porgendo la mano per salutare e presentarsi. “Sono il detective Ryan Hernandez del Dipartimento di Polizia di Los Angeles. Questo è il nostro profiler Garland Moses. Apprezziamo la vostra offerta di partecipare a questa indagine.”

“Sta scherzando?” disse Breem quasi ridendo. “Noi siamo più che felici di starcene nelle retrovie. Non per essere insensibile, ma Barton non è un tipo facile con cui avere a che fare. È stato tutto un susseguirsi di rogne da quando lui e signora si sono trasferiti qui. Vi daremo tutto il supporto di cui avete bisogno, ma quando si tratta di interfacciarsi con quel tizio, sinceramente ci tiriamo formalmente indietro.”

“Dove si trova il signor Barton?” chiese Hernandez.

“A casa sua. Qui, alla porta accanto. Se ascoltate attentamente, lo potete probabilmente sentire che grida contro il mio agente.”

“Allora aspetteremo un po’ prima di andare a parlargli,” disse Hernandez voltandosi verso il medico legale, un tipo piuttosto giovane di nome Pugh. “Cos’hai trovato finora?”

“La temperatura corporea indica che è morta meno di tre ore fa. I segni di legatura e l’emorragia congiuntivale suggeriscono fortemente lo strangolamento. Ci sono dei lividi su braccia e petto, a indicare un possibile alterco prima della morte. Nessun segno di aggressione sessuale fino ad ora.”

“Nient’altro?” chiese Hernandez.

Il sergente Breem si intromise.

“Abbiamo trovato una bottiglia di vino con un biglietto in cucina. Sembra un regalo di benvenuto da parte sua. Il biglietto suggerisce che la vittima pensasse di avere un nuovo vicino. Ma la coppia che possiede la casa non si è trasferita. Sono in vacanza, ma non hanno affittato il posto.”

“Strano,” disse Hernandez.

Breem annuì.

“Abbiamo pensato che magari qualcuno fosse entrato in casa per rubare e che lei sia arrivata nel bel mezzo. O magari qualcuno l’ha vista entrare e l’ha seguita.”

Hernandez si voltò a guardare Garland, che non fece alcun commento sulla teoria. Si chinò invece accanto al corpo e studiò la calza avvolta attorno al collo della Barton.

Era una scelta strana come arma del delitto. Garland aveva visto un sacco di strangolamenti, molti eseguiti con cavi, prolunghe e addirittura a mani nude. Ma non ricordava che nessuno avesse mai strozzato a morte la vittima con una calza.

Sembra costosa.

Alzò lo sguardo, intenzionato a chiedere se qualcuno conoscesse la marca. Ma vedendo che il foyer era esclusivamente occupato da uomini, si prese un appunto mentale di fare una ricerca personale più tardi.

“Qualcuno può insacchettare questa?” chiese.

Un tecnico della scena del crimine si avvicinò ed eseguì gli ordini, raccogliendo la calza con una pinza e lasciandola cadere in un sacchetto per la raccolta delle prove.

“Dubito che riusciremo a ricavarne delle impronte,” mormorò Breem. “Il posto è stato tutto ripulito. Intere sezioni della casa non ne hanno neanche mezza, neppure dei proprietari. Chiunque abbia commesso il crimine è stato tanto diligente da ripulire, e pare abbia indossato dei guanti per tutto il tempo.”

“Possibilità di ricavare dalle fibre della calza resti di pelle o capelli?” chiese Garland al tecnico.

“Possibile. Ma ci vedo sopra dei pezzi di materiale che suggeriscono anche che il colpevole possa aver indossato dei guanti. Vi faremo sapere.”

Garland lasciò che Hernandez e la polizia del Dipartimento di Manhattan Beach si concentrassero sui dettagli della scena del crimine, mentre lui girovagava per la casa, cercando di farsi un’idea di quello che poteva essere successo. Non c’erano segni di colluttazioni da nessun’altra parte, il che lo faceva sospettare che la teoria di Breem – che la donna fosse stata seguita o fosse finita nel mezzo di qualcosa – potesse essere corretta. Sapeva che era arrivata almeno alla cucina prima che le succedesse qualcosa. Ma dove altro fosse stata nella casa era ancora un mistero.

“Garland!” lo chiamò Hernandez.

Garland tornò nel foyer, dove tutti lo stavano guardando in completa attesa.

“Sì?”

“Garth Barton vuole parlare con te,” disse Hernandez. “Sta insistendo e pare si stia innervosendo.”

“Andiamo,” sospirò Garland. “Non vorrei far aspettare il VIP. Dove si trovava quando il fatto è accaduto, comunque?”

“Ha detto che stava venendo a casa in auto e che per tutto il viaggio è stato impegnato in una riunione telefonica,” gli spiegò Breem. “Dice che il viaggio dal lavoro a casa gli richiede circa settanta o ottanta minuti. Stiamo confermando il tutto. Ma se dice la verità, ha un alibi per il momento della morte.”

“Circostanza spiacevole, se vera,” mormorò Garland sottovoce.

“Perché?” chiese Breem.

“Perché se non è stato il marito, abbiamo una vera sfida tra le mani: area fortemente trafficata, pochissima sicurezza e prove fisiche minime.” Poi, incapace di trattenere il proprio cinismo, aggiunse: “Non invidio chi dovrà risolvere questo caso.”

CAPITOLO QUATTRO

Kyle Voss si svegliò il mattino dopo e rotolò giù dal letto.

Cadde a terra e fece immediatamente cento flessioni. Poi fece tre minuti di plank, seguiti da cinquanta burpee. Felicemente madido di sudore dopo essersi alzato da soli quindici minuti, andò in bagno e si spogliò.

Fissandosi nello specchio, non poteva che ammirare il proprio fisico. Due anni di prigione potevano aver messo in pausa la sua vita professionale, ma avevano fatto miracoli per il suo corpo. Era più sodo e in forma di quanto fosse mai stato anche ai tempi del football al liceo. Con un’altezza di un metro e novanta e cento chili di muscoli, pensava seriamente di essere passibile come Safety nella nazionale di football americano. Aveva i capelli biondi ancora piuttosto corti, un rimasuglio del taglio a spazzola portato in prigione. Gli occhi azzurri erano limpidi.

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