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Kate Wilhelm: La casa che usside

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Kate Wilhelm La casa che usside
  • Название:
    La casa che usside
  • Автор:
  • Издательство:
    Mondadori
  • Жанр:
  • Год:
    2004
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • Рейтинг книги:
    4 / 5
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Passò parecchi minuti a esplorare la stanza e il bagno. I colori predominanti erano un rosa tenue e un giallo pallido. C’erano dei letti gemelli, una scrivania con un computer acceso senza alcun tasto per poterlo spegnere, settimanali, libri piuttosto vissuti, ovviamente di seconda mano, con le orecchie alle pagine. Prese una bella statuetta di quarzo rosa raffigurante una sirena e la riposò delicatamente sul tavolo. C’erano due lampade con le basi dello stesso quarzo rosa e un massiccio portacenere del medesimo materiale. Nonostante i suoi buoni propositi, si sentiva sopraffatta da quella casa. Con un piglio rabbioso si diresse a grandi passi verso il bagno dove trovò un assortimento di saponi e shampoo, un asciugacapelli, una vasca-doccia fornita di una serie di bocchette e un pannello di comando per scegliere la temperatura dell’acqua, gli abbinamenti di profumo e bagnoschiuma, tutti prodotti costosi, selezionati da qualcuno che sapeva bene cosa comprare. E pensare che lei aveva dovuto guardare al centesimo ogni giorno, considerò infuriata.

La stanza era esposta a sud. La parete sul lato del mare era una vetrata con tende a tutta altezza e una porta scorrevole che si apriva su un balcone. Rimase a lungo a fissare l’oceano. Era uscito il sole e ora stava tramontando a occidente all’estremità dell’angolo visivo che il riquadro della finestra della camera le consentiva. Sobbalzò al suono di quattro soavi, cristalline e melodiose note di campanelli, il logo musicale della Bellringer Company. Si voltò e vide che le note erano comparse sul monitor del computer.

«Sono le sei, Beth» disse la suadente voce femminile. «Desideri fare un bagno prima di cena? Se vuoi dirmi qual è la tua temperatura ideale sarò felice di preparartelo.»

«Posso spegnere l’audio del computer?» domandò Beth con una voce irritata.

«Sì, Beth. Ti segnalerò se ci sono messaggi per te.» Sul monitor apparve un messaggio:

L’AUDIO È STATO DISATTIVATO.
PREGO INDICARE SE SI DESIDERA ASSISTENZA.

Senza muoversi Beth disse: «Chiudi le tende.» Silenziosamente i pesanti tendaggi si chiusero oscurando la vista dell’oceano. Beth annuì. Il suo viso era contratto quando cominciò a disfare il bagaglio. Estrasse un maglione e una lunga gonna che sbatté per togliere le pieghe e quasi si strappò di dosso i jeans. Non c’era da stupirsi che Maddie avesse quell’aspetto. A dire il vero tutto sommato aveva dimostrato una notevole compostezza. Beth si fece la doccia, si vestì e uscì dalla stanza cercando la strada per il giardino.

Laura Westerman la vide avvicinarsi al gruppetto raccolto intorno al bar del giardino e la salutò da lontano. Laura aveva una trentina d’anni ed era molto bella. Indossava un vestito di seta verde chiaro che metteva in risalto un corpo e un seno perfetti. Aveva capelli castani che pettinava in modo disordinato secondo i dettami della moda, e usava il trucco con una tale abilità che alcuni sospettavano non ne mettesse affatto.

Al fianco di Laura c’era Jake Kluge, alto più di un metro e ottanta, allampanato, con capelli castani lisci e flosci. All’interno della società era l’uomo più potente, naturalmente dopo Gary. Si domandò se Gary lo avesse consultato riguardo a Smart House, e se lui avesse approvato i suoi progetti. Da tempo Jake era l’unica persona che Gary addirittura pretendeva di ascoltare. Fu questo che le passò per la mente mentre cercava di capire cosa ci fosse di diverso in Jake. Alla fine lo capì. Solitamente portava dei grossi occhiali che gli ingrandivano smisuratamente gli occhi, mentre ora indossava lenti a contatto e sembrava più giovane dell’ultima volta che lo aveva visto, nonostante fosse sempre più vecchio di Gary di cinque o sei anni. L’uomo le andò incontro a braccia aperte.

«Come stai?» Le afferrò saldamente le mani, le scrutò il viso poi la baciò sulla fronte.

«Sto bene» rispose, e per un attimo desiderò che Jake non fosse sempre così sollecito, che non si preoccupasse per lei, per Gary, per tutti quelli con cui aveva a che fare. Si liberò dalla sua stretta e dietro a Jake vide Milton Sweetwater, il bell’avvocato che si agghindava da avvocato o faceva di tutto per assomigliare a Gregory Peck nel ruolo di un avvocato. Beth aveva sempre nutrito delle grosse riserve sul suo conto, non aveva mai capito che cosa pensasse di lei, se in realtà disapprovasse il suo comportamento. Le maniere di Milton erano troppo educate per lasciare trapelare qualcosa che esulasse dalla cortesia. Dopotutto, pensò, avrebbe fatto finta di niente anche se Gary avesse zoppicato vistosamente. D’un tratto ebbe la sensazione di essere lei la gamba zoppa di Gary che Milton Sweetwater era troppo gentile per notare. Annuì verso di lui e si avvicinò al bar ma ebbe un attimo di esitazione. "Accidenti, è automatico" pensò seccata.

«Lascia, faccio io» le disse Milton avvicinandosi. «Mi pare di capire che anche tu ti senti in imbarazzo a parlare con una macchina.»

«Proprio così» ammise. «C’è del vino? Se bevo qualcosa di più forte rischio di svenire. Sono passate parecchie ore da quando ho fatto colazione.» Mentre Milton apriva il frigo e tirava fuori una bottiglia di vino bianco Beth si guardò intorno. «Dove sono… tutti gli altri?»

«A scoprire le meraviglie della nuova era dell’elettronica, credo. Nel seminterrato.»

Milton le porse del vino. «È tutto incredibile, vero?»

Beth annuì. Il vino era eccellente. «Scommetto che è a otto gradi» disse sollevando il bicchiere. «Vuoi scommettere?»

Milton rise. «È bello rivederti. Quanto tempo è passato? Quattro, cinque anni? Sei esattamente come allora, stupenda.»

«Anche tu» disse Beth, ed ebbe la sensazione che in lei fosse scattato qualcosa. Si ricordò che quando lo aveva conosciuto, dieci anni prima, Milton le ispirava soggezione con le sue maniere impeccabili, la sua eleganza, i vestiti costosi e un’istruzione davvero ammirevole. In sua presenza Beth si comportava timidamente e si ammutoliva perché non riusciva a vedere oltre quella facciata di buone maniere. Non era mai riuscita a cogliere la vera personalità di Milton al di là del sorriso. Ora, per la prima volta, si sentiva a suo agio con lui. Non che adesso si lanciasse in grandi conversazioni, semplicemente non le importava più. A San Francisco Milton aveva una moglie elegante e due ragazzi eccezionali che frequentavano ottime scuole e ottenevano ottimi voti. Si domandò di cosa parlasse gente come quella. Laura si avvicinò lentamente al bar.

«Milton, tesoro, c’è del ghiaccio?» La voce di Laura era carezzevole, proprio come Beth la ricordava. Laura si voltò verso di lei e le sorrise. «Ho sentito cosa ha detto Milton ed è vero, cara. Hai davvero un bell’aspetto. Mi è sempre piaciuta quella gonna.»

Beth strinse con più forza il bicchiere e annuì, distolse lo sguardo soffermandosi sul giardino e non replicò. La prima impressione era che avessero portato enormi quantità di terra per creare una collinetta artificiale; ora invece si accorse che tutte le piante erano poste in vasi sistemati a semicerchio su gradoni che arrivavano sino al primo piano, da cui si affacciava una balconata. L’illusione di essere ai piedi di una collina era magica, e sebbene fino a un certo punto fosse possibile penetrare con lo sguardo dentro all’intricata vegetazione, non si riusciva a vederne la fine. L’illusione era che il giardino si estendesse all’infinito. C’erano banani, palme e filodendri rampicanti con foglie lunghe un metro. C’erano orchidee che pendevano dagli alberi e crescevano dentro a piccole ceste o a tronchi d’albero. Aranci e limoni in fiore profumavano l’aria, ma l’odore che sovrastava tutti gli altri era quello del cloro della piscina. L’aria era pesante e umida, simile a quella di una giungla, e in sottofondo si sentiva sempre lo scroscio della cascata che si gettava nella vasca.

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