“E allora vai!” disse alla fine bruscamente, senza veramente volerlo. Era come se qualcun altro avesse pronunciato quelle parole. Sentì la durezza nelle proprie parole e subito se ne pentì.
Perché doveva sempre incasinare le cose a quel modo? Perché non era capace di controllarsi?
Se avesse avuto un umore migliore, se fosse stata più calma e non le avessero gettato contro tutto quello che era successo, non avrebbe detto una cosa del genere. O sarebbe stata più gentile. Avrebbe detto qualcosa come So che quello che stai cercando di dire è che non te ne andresti mai da questo posto, non importa quanto schifo faccia, perché non mi lasceresti mai da sola ad arrangiarmi in tutto questo. Ed è per questo che ti adoro. E neanche io ti abbandonerei mai. In questa nostra infanzia incasinata, almeno siamo uniti. Invece il suo umore era peggiorato ancor più. Invece lei aveva agito egoisticamente e aveva parlato in maniera brusca.
Si tirò su a sedere e poté vedergli il dolore stampato in faccia. Avrebbe voluto ritirare tutto, chiedere scusa, ma era troppo sopraffatta dai sentimenti. In un modo o nell’altro non fu in grado di aprire bocca.
Nel silenzio Sam si alzò lentamente dalla sua scrivania ed uscì dalla stanza, chiudendo delicatamente la porta alle sue spalle.
Idiota, pensò Caitlin. Sei proprio un’idiota. Perché devi trattarlo allo stesso modo in cui mamma tratta te?
Si stese nuovamente, fissando il soffitto. Si rese conto che c’era un altro motivo per cui era esplosa. Lui aveva interrotto il flusso dei suoi pensieri, e l’aveva fatto proprio nel preciso attimo in cui stavano cambiando per il peggio. Un pensiero oscuro le aveva attraversato la mente, e lui l’aveva interrotto prima che lei potesse avere la possibilità di portarlo a compimento.
L’ex compagno di sua mamma. Tre città prima. Era stata quella volta in cui sua madre era veramente sembrata felice. Frank. Cinquant’anni. Basso, tarchiato, quasi calvo. Tozzo come un tronco. Sapeva di colonia scadente. Lei aveva sedici anni.
Lei si trovava nella piccola lavanderia a ripiegare i propri vestiti quando Frank era comparso sulla porta. Era un tale verme, sempre lì a fissarla. Allungò la mano e afferrò un paio di mutandine, e lei si sentì arrossire di imbarazzo misto a rabbia. Lui le tenne sollevate con un sorrisino stampato in faccia.
“Ti sono cadute queste,” disse con un ghigno. Lei gliele avrebbe strappate dalle mani.
“Cosa vuoi?” gli aveva risposto seccamente.
“È questo il modo di parlare al tuo nuovo patrigno?”
Si avvicinò di mezzo passo.
“Tu non sei il mio patrigno.”
“Ma lo sarò… presto.”
Lei tentò di tornare ai suoi vestiti da piegare, ma lui si avvicinò di un altro mezzo passo. Un mezzo passo di troppo. Il cuore le batteva nel petto.
“Penso sia ora che noi iniziamo a conoscerci un pochino meglio,” disse lui, togliendosi la cintura. “Non credi?”
Disgustata, cercò di defilarsi passandogli accanto per uscire dalla porta dello stanzino, ma quando si mosse lui le bloccò la strada e la afferrò rudemente sbattendola contro la parete.
Fu a quel punto che accadde.
Una sorta di rabbia le era scorsa dentro. Una rabbia diversa da qualsiasi cosa avesse mai provato. Sentì che il corpo le si riscaldava, come fosse in fiamme, dalla punta dei piedi alla testa. Mentre lui le si avvicinava lei saltò in aria e gli diede un calcio, piantandogli entrambi i piedi nel petto.
Nonostante lei fosse un terzo di lui, l’uomo volò all’indietro attraverso la porta, scardinandola dallo stipite, e continuò a volare per oltre tre metri fino alla stanza attigua. Fu come se una palla di cannone lo avesse spinto da un capo all’altro della casa.
Caitlin era rimasta lì tremante. Non era mai stata una persona violenta, non aveva mai colpito qualcuno così forte. E per di più non era lei stessa così grande, o forte. Come aveva fatto a dargli un calcio così potente? Come aveva potuto avere la forza per fare una cosa del genere? Non aveva mai visto nessuno – né tantomeno un uomo adulto – volare in aria e buttare giù una porta. Da dove le era venuto quell’impulso?
Gli si era avvicinata ed era rimasta in piedi accanto a lui.
Era privo di conoscenza, steso sulla schiena. Si chiese se l’avesse per caso ucciso. Ma in quel momento, con la rabbia che ancora la pervadeva, non le importava così tanto. Era più preoccupata per se stessa, per chi – o cosa – lei veramente fosse.
Non vide Frank mai più. Lui lasciò sua madre il giorno dopo e non tornò. Sua madre aveva sospettato che fosse successo qualcosa fra loro due, ma non disse mai nulla. Tuttavia diede a Caitlin la colpa della rottura e la biasimò per aver rovinato l’unico momento felice della sua vita. E da allora non aveva ancora smesso di darle la colpa.
Caitlin sollevò lo sguardo verso il suo soffitto screpolato, con il cuore che le batteva dappertutto un’altra volta. Ripensò alla furia di quel giorno e si chiese se i due episodi fossero collegati. Aveva sempre pensato che Frank fosse stato un incidente isolato e folle, una sorta di strano scatto d’ira. Ma ora si chiedeva se fosse qualcosa di più. C’era una sorta di potere dentro di lei? Era forse lei una persona strana?
Chi era lei?
Caitlin correva. I bulli le erano alle calcagna e la inseguivano lungo il vicolo. Davanti a lei la fine senza uscita, un muro enorme, ma lei continuò a correre. Mentre correva, prendeva velocità, una velocità inaudita, e gli edifici le scorrevano accanto in una massa indistinta. Poteva sentire il vento che le scompigliava i capelli.
Quando fu vicina al muro, saltò e in un singolo balzo si ritrovò in cima, a dieci metri d’altezza. Ancora un salto e volò nuovamente in aria per dieci metri, cinque, fino ad atterrare sul cemento senza perdere un passo, sempre di corsa, di corsa. Si sentiva forte, invincibile. La velocità aumentò ancor di più e lei si sentì come se potesse volare.
Abbassò lo sguardo e davanti ai suoi occhi il cemento divenne erba, erba alta, ondeggiante, verde. Correva in un prato, il sole brillava e ricordò quel luogo come la casa della sua prima infanzia.
A distanza poteva percepire che suo padre stava all’orizzonte. Mentre correva sentiva che si stava avvicinando a lui. Lo vide apparire e iniziò a metterlo a fuoco. Stava in piedi, con un grande sorriso e le braccia aperte. Lei desiderò di rivederlo. Corse più forte che poteva. Ma quando gli era più vicina, lui appariva più distante.
All’improvviso stava cadendo.
Un grande portone medievale si aprì e lei entrò in una chiesa. Camminò lungo una navata appena illuminata, con torce che bruciavano su entrambe le parti. Di fronte a un pulpito c’era un uomo in ginocchio che le dava le spalle. Quando si fu avvicinata lui si alzò in piedi e si voltò.
Era un prete. La guardò e il suo volto si riempì di paura. Lei sentì il sangue che le scorreva nelle vene, e si guardò mentre si avvicinava all’uomo, incapace di fermarsi. Lui sollevò una croce davanti al suo volto, spaventato.
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