Morgan Rice - Un’Impresa da Eroi

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Una serie fantasy epica mozzafiato. Morgan Rice ripete limpresa! Questa magica saga ricorda il meglio di J.K. Rowling, George R.R. Martin, Rick Riordan, Christopher Paolini e J.R.R. Tolkien. Non sono riuscita a chiudere il libro! --Allegra Skye, autore del best-seller SAVED Dallautrice best-seller Morgan Rice giunge il primo capitolo di una nuova serie fantasy. UNIMPRESA DA EROI (LIBRO 1 nellANELLO DELLO STREGONE) ruota attorno allepica crescita di un ragazzo speciale, un quattordicenne proveniente da un piccolo villaggio ai confini del Regno dellAnello. Il più giovane di quattro fratelli, il meno favorito del padre, odiato dai suoi fratelli, Thorgrin sente di essere diverso dagli altri. Sogna di diventare un grande guerriero, di entrare tra gli uomini del Re e proteggere lAnello dalle orde di creature che popolano laltra parte del Canyon. Quando raggiunge letà giusta ma il padre gli vieta di tentare lingresso nella Legione del Re, Thor rifiuta di prendere quel no come una risposta definitiva: si mette in cammino da solo, determinato a farsi strada allinterno della Corte del Re ed essere preso sul serio. Ma la Corte del Re è impegnata con i propri drammi familiari, lotte di potere, ambizioni, gelosia, violenza e tradimento. Re MacGil deve scegliere un erede tra i suoi figli e lantica Spada della Dinastia, la sorgente di tutto il loro potere, giace ancora intatta in attesa del prescelto. Thorgrin si presenta come un outsider e lotta per essere accettato e per far parte della Legione del Re.

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“Meglio avere un tesoro povero e dei sudditi leali,” rispose MacGil. “La nostra ricchezza deriva dalla felicità dei nostri sudditi. Non possiamo pretendere di più.”

“Ma mio signore, se non…”

“Ho deciso. Altro?”

Owen si arrese, mortificato.

“Mio Re,” disse Brom con la sua voce profonda. “Secondo i vostri ordini abbiamo posizionato la maggior parte delle nostre forze all’interno della corte per l’evento di oggi. L’esibizione di potere sarà impressionante. Ma ci diramiamo a breve raggio. Se dovesse verificarsi un attacco da qualche altra parte del regno, risulteremmo vulnerabili.”

MacGil annuì, soppesando la questione.

“I nostri nemici non ci attaccheranno mentre gli stiamo dando da mangiare.”

Gli uomini risero.

“E che novità ci sono dall’Altopiano?”

“Non ci sono notizie di alcuna attività da settimane. Pare che le loro truppe siano rimaste in basso per i preparativi per il matrimonio. Forse sono pronti per la pace.”

MacGil non ne era certo.

“Questo può significare che l’organizzazione del matrimonio ha funzionato, oppure che aspetteranno di attaccarci in un altro momento. Quale pensi sia la risposta giusta, vecchio mio?” chiese MacGil, rivolgendosi a Aberthol.

Aberthol si schiarì la voce, che uscì roca: “Mio signore, vostro padre, e il padre di vostro padre prima di lui, non si sono mai fidati dei McCloud. Il semplice fatto che stiano dormendo, non significa che non si sveglieranno.”

MacGil annuì, apprezzando la schiettezza.

“E da parte della Legione?” chiese, rivolto a Kolk.

“Oggi abbiamo dato il benvenuto alle nuove reclute,” rispose Kolk con un rapido cenno della testa.

“Anche mio figlio tra di loro?” chiese MacGil.

“Ha preso fieramente il suo posto tra di loro, e si tratta per certo di un ragazzo in gamba.”

MacGil annuì, poi si rivolse a Bradaigh.

“E cosa si dice oltre il Canyon?”

“Mio signore, le nostre pattuglie hanno visto maggiori tentativi di attraversare il Canyon nelle ultime settimane. Potrebbe significare che le Terre Selvagge si stanno preparando per un attacco.”

Un sussurro sommesso serpeggiò fra gli uomini. A quel pensiero MacGil sentì lo stomaco che gli si stringeva. Lo scudo di energia era invincibile, tuttavia aveva un cattivo presentimento.

“E cosa succederebbe se di dovesse verificare un attacco in piena regola?” chiese.

Fintanto che lo scudo è attivo non abbiamo nulla da temere. Le Terre Selvagge non riescono ad oltrepassare il Canyon da secoli. Non c’è ragione di pensare che possano farcela ora.

MacGil non si sentiva così sicuro. Un attacco dall’esterno non si verificava da tempo e non poteva fare a meno di chiedersi quando sarebbe potuto succedere.

“Mio signore,” disse Firth con voce nasale, “sento l’obbligo di aggiungere che oggi la nostra corte è piena di dignitari del regno di McCloud. Sarebbe interpretato come un insulto da parte vostra se non vi intratteneste con loro, rivali o no. Consiglierei di utilizzare le vostre ore pomeridiane per salutarli tutti. Hanno portato un grande seguito, molti doni e, gira voce, anche molte spie.”

“Chi ci dice che le spie non siano già qui?” ribatté MacGil guardando con attenzione Firth, mentre poneva la domanda, e chiedendosi, come sempre, se potesse essere proprio lui una di quelle.

Firth aprì la bocca per rispondere, ma MacGil sospirò e sollevò il palmo della mano: ne aveva avuto abbastanza. “Se è tutto, ora me ne vado per partecipare al matrimonio di mia figlia.”

“Mio signore,” disse Kelvin schiarendosi la voce, “ovviamente c’è un’altra cosa. La tradizione, nel giorno del matrimonio della vostra primogenita. Ogni MacGil ha nominato un successore in questo giorno. Il popolo si aspetterà che voi facciate altrettanto. Sono in fermento. Non è consigliabile lasciarli a bocca asciutta. Soprattutto con la Spada della Dinastia ancora immobile.”

“Dovrei nominare un erede mentre sono ancora al trono?” chiese MacGil.

“Mio signore, non intendo offendere sua maestà,” balbettò Kelvin, preoccupato.

MacGil alzò una mano. “Conosco la tradizione. E in effetti, nominerò qualcuno oggi.”

“Potrebbe informarci su chi sarà?” chiese Firth.

MacGil lo fissò, seccato. Firth era un pettegolo, e poi non si fidava di quell’uomo.

“Avrete la notizia a tempo debito.”

MacGil si alzò, e così fecero anche gli altri. Si inchinarono, si voltarono e si affrettarono fuori dalla stanza.

MacGil rimase lì, pensieroso, per un po’. In giorni come quelli avrebbe voluto non essere re.

*

MacGil scese dal suo trono, con la suola degli stivali che faceva risuonare i suoi passi nel silenzio, e attraversò la stanza. Aprì da sé l’antica porta di quercia, tirando bruscamente la maniglia di ferro, ed entrò nella stanza adiacente.

Godette della pace e della solitudine di quella sala accogliente, come sempre, con i suoi muri di neanche venti piedi per lato e con un alto soffitto ad arco. La stanza era costruita completamente in pietra, con una piccola e tonda vetrata colorata su una parete. La luce trapelava all’interno attraverso il vetro giallo e rosso, illuminando l’unico oggetto presente nella stanza, per il resto completamente vuota.

La Spada della Dinastia.

Gaceva lì, nel mezzo della stanza, stesa orizzontalmente su rebbi di ferro, come una tentatrice. Come aveva sempre fatto da quando era ragazzo, MacGil si avvicinò, le camminò attorno, la esaminò. La Spada della Dinastia. La spada della leggenda, la fonte del potere e della forza del suo intero regno, da una generazione all’altra. Chiunque avesse avuto la forza di sollevarla sarebbe stato il Prescelto, colui che era destinato a governare il regno per tutta la vita, per liberare il regno da tutte le minacce, dentro e fuori dall’Anello. Era stata una bella leggenda con la quale crescere, e non appena era stato proclamato re, MacGil aveva cercato di sollevarla lui stesso, perché solo i re della famiglia MacGil avevano il permesso di provare. I re prima di lui, tutti, avevano fallito. Lui era certo di essere diverso. Era sicuro che sarebbe stato il Prescelto.

Ma si era sbagliato. Come si erano sbagliati tutti gli altri re MacGil prima di lui. E il suo fallimento aveva contaminato da allora la sua regalità.

Ora, mentre la guardava, ne esaminava la lunga lama, fatta di un misterioso metallo che nessuno aveva mai decifrato. L’origine della spada era ancora più oscura dell’oggetto stesso: si diceva che fosse emersa dalla terra nel mezzo di un terremoto.

Esaminandola, avvertì di nuovo il bruciore della sconfitta. Poteva ben essere un bravo re, ma non era il Prescelto. Il suo popolo lo sapeva. I suoi nemici lo sapevano. Poteva essere un bravo re, ma non importava cosa facesse, non sarebbe mai stato il Prescelto.

Se lo fosse stato, era certo che ci sarebbe stata meno irrequietezza nella sua corte, minori complotti. Il suo stesso popolo si sarebbe fidato maggiormente di lui e i suoi nemici non avrebbero neppure considerato l’eventualità di attaccare. Una parte di lui desiderava che la spada semplicemente sparisse, e con essa anche la leggenda. Ma sapeva che non sarebbe successo. Quelli erano la maledizione e il potere di una leggenda. Più forti addirittura di un esercito.

Mentre la fissava per la centesima volta, MacGil non poté fare a meno di chiedersi, ancora una volta, chi sarebbe stato. Chi, nella sua stirpe, era destinato a brandirla? Mentre pensava al compito che aveva dinnanzi, quello di eleggere un erede, si chiese chi, se mai esistesse, fosse destinato a sollevarla.

“Il peso della lama è notevole,” disse una voce.

MacGil si voltò, sorpreso di non essere solo nella piccola stanza.

In piedi sulla porta c’era Argon. MacGil riconobbe la voce prima di vederlo e provò un misto di irritazione per non averlo visto prima e di sollievo nell’averlo lì in quel momento.

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