«Si può comprare tutto a Londra?» si chiese ad alta voce Harry.
«Sì, se uno sa dove andare» rispose Hagrid.
Harry non era mai stato a Londra. Per quanto fosse chiaro che Hagrid sapeva dove stava andando, era altrettanto ovvio che non era abituato a girare per la città come un comune mortale. Rimaneva incastrato nei tornelli della metropolitana, e si lamentava ad alta voce che i sedili delle vetture erano troppo piccoli e i treni troppo lenti.
«Non so proprio come fanno i Babbani a cavarsela senza magia» disse mentre si arrampicavano su per una scala mobile sfasciata, che portava a una strada brulicante di traffico e piena di negozi.
Hagrid era così grosso che riusciva facilmente a fendere la folla; quanto a Harry, bastava che gli si tenesse alle calcagna. Passarono davanti a negozi di libri e di musica, a fast-food e cinema, ma in nessuno pareva si vendessero bacchette magiche. Era una strada qualsiasi, piena di gente qualsiasi. Possibile che sepolti sotto i loro piedi si nascondessero mucchi d’oro appartenenti ai maghi? Possibile che esistessero negozi dove si vendevano libri di incantesimi e manici di scopa? Non poteva essere una burla monumentale architettata dai Dursley? Se Harry non avesse saputo che i Dursley erano privi del benché minimo senso dell’umorismo ci avrebbe quasi creduto; eppure, per quanto incredibile gli sembrasse tutto quel che Hagrid gli aveva raccontato fino a quel momento, Harry non riusciva a non fidarsi di lui.
«Eccoci arrivati» disse Hagrid fermandosi. « Il paiolo magico. Un posto famoso».
Era un piccolo pub, dall’aspetto sordido. Se Hagrid non glielo avesse indicato, Harry non ci avrebbe neanche fatto caso. I passanti frettolosi non gli gettavano neanche un’occhiata. Gli sguardi andavano dalla grossa libreria su un lato della strada al negozio di dischi sull’altro, come se per loro Il paiolo magico fosse invisibile. E infatti, Harry aveva la stranissima sensazione che solo lui e Hagrid lo vedessero. Prima che potesse dire una parola, Hagrid lo aveva spinto dentro.
Per essere un posto famoso, Il paiolo magico era molto buio e dimesso. Alcune vecchie erano sedute in un angolo e sorseggiavano un bicchierino di sherry. Una di loro fumava una lunga pipa. Un omino col cappello a cilindro stava parlando al vecchio barman, completamente calvo, che sembrava una noce di gomma. Il sordo brusio della conversazione si arrestò al loro ingresso. Sembrava che tutti conoscessero Hagrid; lo salutarono e gli sorrisero, e il barman prese un bicchiere dicendo: «Il solito, Hagrid?»
«Non posso, Tom, sono in servizio per Hogwarts» disse il gigante dando una grossa pacca con la manona sulla spalla di Harry, al quale si piegarono le ginocchia.
«Buon Dio!» esclamò il barman scrutando Harry. «Questo è… non sarà mica…?»
Nel locale cadde d’un tratto il silenzio; tutti si immobilizzarono.
«Mi venisse un colpo…» sussurrò con un filo di voce il vecchio barman. «Ma è Harry Potter! Quale onore!»
Uscì di corsa da dietro il bancone, si precipitò verso Harry e gli afferrò la mano con le lacrime agli occhi.
«Bentornato, signor Potter, bentornato!»
Harry non sapeva che cosa dire. Tutti lo guardavano. La vecchia continuava a dar tirate alla pipa senza accorgersi che si era spenta. Hagrid era raggiante.
Ci fu un grande tramestio di sedie, e subito dopo Harry si trovò a stringere la mano di tutti i presenti.
«Sono Doris Crockford, signor Potter. Non riesco a crederci! Finalmente la conosco!»
«Sono così orgoglioso, signor Potter, veramente orgoglioso».
«Ho sempre desiderato stringerle la mano… Sono così agitato!»
«Oh, signor Potter, non so dirle quanto piacere mi fa conoscerla! Mi chiamo Lux, Dedalus Lux».
«Ma io la conosco!» disse Harry, mentre a Dedalus Lux cadeva il cappello a cilindro per l’emozione. «Una volta mi ha fatto l’inchino in un negozio».
«Se lo ricorda!» gridò l’omino guardando tutti a uno a uno. «Avete sentito? Si ricorda di me!»
Harry strinse mani a non finire. Doris Crockford non la smetteva più di tornare a porgergli la sua.
Si fece largo un giovanotto pallido dall’aria molto nervosa. Aveva un tic a un occhio.
«Professor Raptor!» disse Hagrid. «Harry, il professore sarà uno dei tuoi insegnanti a Hogwarts».
«P-P-Potter» balbettò il professor Raptor afferrando la mano di Harry, «n-n-non so d-d-dirle qu-quanto s-sono felice di c-c-conoscerla».
«Che tipo di magia insegna lei, professor Raptor?»
«D-difesa co-contro le Arti O-o-oscure» balbettò Raptor come se avesse preferito non saperlo. «N-n-non che a lei s-serva, eh, P-P-Potter?» E rise nervosamente. «Su-suppongo che s-s-starà ri-rifornendosi d-di tu-tu-tutto quel che le s-serve, v-vero, P-Potter? I-io devo p-prendere u-un nuovo li-libro s-sui va-va-vampiri». Appariva terrorizzato al solo pensiero.
Ma gli altri non gli permisero di accaparrarsi Harry tutto per sé. Ci vollero almeno dieci minuti per liberarsi di tutti. Finalmente, Hagrid riuscì a farsi udire al di sopra del cicaleccio.
«Ora dobbiamo andare… un mucchio di acquisti da fare. Sbrigati, Harry».
Doris Crockford strinse un’ultima volta la mano a Harry e Hagrid gli fece strada attraverso il bar; uscirono in un piccolo cortile circondato da un muro, dove non c’era altro che un bidone della spazzatura e qualche erbaccia.
Hagrid sorrise a Harry.
«Te l’avevo detto, no? Te l’avevo detto che eri famoso. Anche il professor Raptor tremava tutto quando ha fatto la tua conoscenza… Va bene che per lui tremare è normale».
«È sempre così nervoso?»
«Oh, sì! Povero diavolo. Una mente geniale. È stato benissimo fino a che ha studiato sui libri, ma poi si è preso un anno di congedo per andare a fare qualche esperienza sul campo… Dicono che nella Foresta Nera ha incontrato i vampiri e che c’è anche stata una brutta storia con una strega… Da allora non è più lui. Lo spaventano gli studenti, lo spaventa la sua stessa materia… Ma vediamo un po’, dov’è finito il mio ombrello?»
Vampiri? Streghe? A Harry girava la testa. Nel frattempo, Hagrid stava contando i mattoni sul muro sopra il bidone della spazzatura.
«Tre verticali… due orizzontali…» bofonchiava. «Bene. Sta’ indietro, Harry».
Batté sul muro tre volte con la punta dell’ombrello.
Il mattone che aveva colpito vibrò… si contorse… al centro, apparve un piccolo buco… si fece sempre più grande… e un attimo dopo si trovarono di fronte un arco abbastanza largo da far passare Hagrid. L’arco dava su una strada selciata tutta curve, di cui non si vedeva la fine.
«Benvenuto a Diagon Alley!» disse Hagrid.
Sorrise allo stupore di Harry. Attraversarono l’arco. Harry gettò una rapida occhiata alle sue spalle e vide l’arco rimpicciolirsi, ridiventando un muro compatto.
Il sole splendeva illuminando una pila di calderoni fuori del negozio più vicino. Un’insegna appesa sopra diceva: Calderoni. Tutte le dimensioni. Rame, ottone, peltro, argento. Autorimestanti. Pieghevoli.
«Te ne servirà uno» disse Hagrid, «ma prima dobbiamo andare a prenderci i soldi».
Harry avrebbe voluto avere altre quattro paia di occhi. Strada facendo, si girava di qua e di là nel tentativo di vedere tutto e subito: i negozi, le cose esposte all’esterno, la gente che faceva le spese. Mentre passavano, una donna grassottella, appena uscita da una farmacia, scuoteva la testa commentando: «Fegato di drago diciassette falci l’etto: roba da matti!»
Da un negozio buio la cui insegna diceva: Emporio del Gufo: gufi selvatici, barbagianni, gufi da granaio, gufi bruni e civette bianche si udiva provenire un richiamo basso e soffocato. Molti ragazzi, più o meno dell’età di Harry, tenevano il naso schiacciato contro la vetrina, dove erano esposti dei manici di scopa. «Guarda» Harry sentì dire uno di loro, «il Nimbus Duemila, il più veloce di tutti». Alcuni negozi vendevano abiti, altri telescopi e bizzarri strumenti d’argento che Harry non aveva mai visto prima; c’erano vetrine stipate di barili impilati, contenenti milze di pipistrello e pupille d’anguilla, mucchi pericolanti di libri di incantesimi, penne d’oca e rotoli di pergamena, bottiglie di pozioni, globi lunari…
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