— Te l’ho già detto. È inutile. Continuo a dirlo a tutti, ma sembra che non mi vogliate credere.
Pensa a se stesso come parte del sistema globale Gengis Mao. Soppesa le analogie. Non c’è alcun dubbio, i suoi sensori e impianti chirurgici lo legano al Khan in maniera molto particolare. Ma lui non è più importante (né meno importante) per il sistema globale Gengis Mao di quanto il blocco di marmo di Michelangelo non fosse importante per il sistema globale di produzione di quella scultura. Se avesse pensato che un dato blocco di marmo non era più necessario ai fini del sistema globale, Michelangelo l’avrebbe scartato senza pensarci su troppo e ne avrebbe introdotto un altro nel sistema.
Nikki trema.
— Se non vuoi cercare di metterti in salvo — dice — nessun altro può fare niente per te.
Quando lui e Gengis Mao si troveranno a dividersi un unico corpo, saranno davvero un’unità integrata di trattamento delle informazioni. Naturalmente, un’unità del genere ha bisogno di un solo biocomputer, di un solo cervello, una sola mente, un solo sé. E quel sé non sarà quello di Shadrach Mordecai.
Dice: — Lo so. Ne abbiamo già parlato. Mi prendo tutta la responsabilità.
— Non ti importa?
— Forse no. Non più. Non lo so.
— Shadrach…
Fa per avvicinarglisi, una specie di gesto accennato, forse erotico, forse semplicemente un gesto riflesso, come di qualcuno che si protende ad afferrare un uomo che sta annegando. Shadrach si ritrae. C’è un muro tra di loro, una barriera impermeabile di parole e paure e dubbi ed esitazioni e sensi di colpa. A lui questo non pesa. Si rifugia dietro a quel muro. Ma c’è sempre quell’attrazione sessuale tra di loro, quella linea rovente di tensione erotica, e si protende attraverso la barriera, la trafora, la erode, la spezza. E la barriera è scomparsa. Lui ama Nikki, la odia, la vuole, la detesta. Accenna un gesto di avvicinamento a lei, poi si arresta. Sono come due adolescenti, assurdamente insicuri, stupidamente presi da una sequenza di finte, false partenze, ritirate nervose. Sorride teso. Lei lo imita. È evidente che lei è altrettanto consapevole di lui delle sottili variazioni d’equilibrio che stanno avendo luogo rapidamente dentro di loro e tra di loro. È come se fossero due viaggiatori a bordo di un transatlantico in lotta con delle acque turbolente e tempestose, e sono intrappolati insieme in una piccola cabina, con un portellone stagno che scorre avanti e indietro senza controllo, sventola attraverso il pavimento a ogni convulsione delle onde, si scontra con le pareti mentre loro due saltano via, minaccia di schiacciarli se non riescono a sfuggirgli quando è diretto verso di loro. C’è qualcosa di comico, innegabilmente, nella loro situazione, ma il pericolo è anche un pericolo reale, e tutt’altro che divertente. Per quanto tempo ancora potranno resistere? Il portellone è così pesante, il mare così agitato, la cabina così piccola, e loro stanno per esaurire le forze…
E improvvisamente si uniscono, si abbracciano, si stringono, la bocca cerca la bocca, le dita sprofondano con furia nella carne. Shadrach è terrificato dall’intensità della forza cieca, irrazionale che si è scatenata dentro di lui, che lui stesso ha lasciato scatenare dentro di sé. — No — mormora, e nello stesso momento afferra i vestiti di Nikki, sente la pienezza dei suoi seni sotto il camice asessuato. — No — articola lei, e sembra altrettanto atterrita. Ma nessuno dei due resiste. Incespicano ridicoli, ondeggiano, volano a terra. Sulla moquette, tra la scrivania e i cassetti di metallo.
Nessuno dei due si sveste. Giù la cerniera, su la gonna; non è un tenero atto d’amore questo, non è neanche un’esibizione di ginnastica erotica, è un accoppiamento selvaggio, puro e semplice, una sovrapposizione disperata e rozza della carne. Le mani di Shadrach scivolano giù lungo le colonne lisce e sode delle cosce di lei, le dita vi trovano la fessura segreta e la esplorano, è già calda e umida, e Nikki geme e si preme contro di lui, e rapidamente, ciecamente, lui si proietta dentro di lei. A terra c’è a malapena lo spazio per muoversi; lei con uno scatto protende le gambe in su, i piedi che puntano verso il soffitto, e lui tende le mani al di sotto, ad afferrarle le natiche, e come un ariete si scatena dentro di lei con un vigore folle. Quasi all’istante, o così gli sembra, Nikki viene, tremando e ridendo in un modo che a Shadrach non è familiare; momenti dopo tocca a lui, violenti spasmi galvanici gli strappano un grido teso e selvaggio. Poco elegantemente, si abbandona immediatamente sul petto di lei, esausto, e Nikki lo tiene stretto, con una pazienza amorevole e incrollabile, come se fosse disposta a tenerlo così per ore, per settimane; ma dopo due o tre minuti Shadrach si sottrae all’abbraccio, intontito, stordito, come incapace di credere che tutto questo sia successo davvero.
Si guardano. Shadrach sbatte gli occhi; Nikki fa lo stesso. Ci sono dei lievi sorrisi imbarazzati.
Lui si alza, con un movimento incerto. Nikki è lì, sdraiata, le gambe si sono abbassate ora ma sono ancora spalancate, la gonna stropicciata tirata su attorno ai fianchi, la faccia è madida di sudore, gli occhi iniettati di sangue, velati. Shadrach distoglie lo sguardo da quel corpo con uno strano senso di fastidio: non prova esattamente repulsione alla vista di quella nudità, ma in qualche modo sente che non vuole guardare. Forse ha paura del potere che quella cavità pelosa e umida esercita su di lui, il primordiale baratro femminile, irresistibile, avvolgente. A ogni modo, si aggiusta i vestiti, tossisce imbarazzato, si china per aiutare Nikki a rialzarsi. Lei ignora la mano protesa e si alza da sola, e ora sono in piedi l’uno di fronte all’altra. Shadrach non ha niente da dire. È un momento difficile, ma Nikki trae in salvo tutti e due prendendogli la mano, sorridendogli calda e amorevole, tirandolo a sé per un rapido, casto bacio: le labbra sfiorano le labbra, è un bacio che allo stesso tempo riconosce l’intensità di quel che è appena successo e vi cala sopra un sipario. È tempo che Shadrach vada.
— Mettiti in salvo — gli sussurra Nikki. — Nessun altro può farlo per te.
— Devo pensare ancora un po’ ad alcune cose.
— Va’, allora. Pensa. Ti amo, Shadrach.
Lui sa come dovrebbe rispondere a questo, ma sono parole impossibili. Invece di parlare, le stringe le dita. E se ne va, rapidamente.
Da giorni, ormai, dice che non fuggirà. L’ha detto a Ficifolia, a Horthy, a Nikki, a Katya, a tutti gli amici premurosi che vogliono che si salvi. Ma infine decide di andarsene da Ulan Bator, dopo tutto.
Non è precisamente un tentativo di fuga, perché Shadrach non ha smesso di credere che alla lunga sia impossibile sfuggire agli occhi-spia di Gengis Mao. Non cercherà di muoversi clandestinamente: intende avvertire della propria partenza anche lo stesso Presidente. No, si tratta più che altro di un viaggio di piacere, una vacanza. Shadrach partirà per quel commento che gli ha fatto Horthy, “c’è chi riesce a pensare meglio mentre sta fuggendo”; e perché Nikki, ritirando fuori l’idea che lui e Gengis Mao costituiscono un sistema unico, gli ha dato qualche idea. Non è sicuro di quanto possano essere utili queste idee, e ha bisogno di pensarci su con molta calma. Forse riuscirà davvero a pensare meglio mentre fugge. In un modo o nell’altro, partirà. Pensa al viaggio con piacere. Sarà una piacevole distrazione, e forse risulterà anche istruttivo. Si sente allegro e ottimista. Il Glorioso Shadrach, che solca elegante i continenti in quella che potrebbe benissimo essere l’ultima grande avventura della sua vita.
Scesa la sera, va a trovare Gengis Mao. Il Khan si sta riprendendo con l’abituale rapidità dall’ultimo intervento chirurgico. Ha un aspetto lievemente febbrile, il volto appena avvampato, i piccoli occhi attenti mostrano una lucentezza innaturale, ma in generale si mostra arzillo, vigoroso, vivace. Ha passato gran parte della giornata sui progetti per i funerali di stato di Mangu, che saranno spettacolari; erano stati rimandati a causa del trapianto dell’aorta, e ora sono previsti per dieci giorni più in là. Mentre Shadrach esegue rapidamente le procedure diagnostiche abituali, la palpazione e l’auscultazione e tutto il resto, Gengis Mao fruga tra i documenti e ignora completamente il lavoro del suo medico, parlando del grande evento con l’entusiasmo scoppiettante di un ragazzino.
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