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Bob Shaw: Il terzo occhio della mente

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Bob Shaw Il terzo occhio della mente

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Fu mentre si versava il caffè della prima colazione che John Redpath s’accorse qualcosa di “strano”, di qualcosa “che non andava”, pur non riuscendo a capire che cosa fosse… Restò un momento a guardarsi intorno, poi tese l’orecchio per sentire se, tra i rumori familiari del mattino presto, nello stabile in cui abitava, ne mancasse qualcuno, ovvero ce ne fossero degli insoliti… Questo tradizionale (e insuperato) modo di cominciare una storia di fs, ben pochi oggi possono permetterselo. Bisogna infatti che un romanzo possa competere con i classici, per non deludere le aspettative suscitate nel lettore da un inizio di questo tipo. Ma per Bob Shaw, autore di “Quando i Neutri emergono dalla Terra”, la difficoltà non esiste: ogni suo nuovo romanzo, comunque cominci, s’impone immediatamente come un classico.

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Redpath la fissò per qualche secondo, prese una decisione. — Mi sono ferito alla spalla con un chiodo che sporgeva dal muro, dopo di che mi sono versato un po’ di acido sulle caviglie.

— Allora sarà meglio che ti porti in ospedale. — Leila ingranò la marcia e premette sull’acceleratore. — Certa gente non dovrebbe andare in giro da sola.

— Io sono proprio uno di quelli. Pensi che potremmo rimediare in qualche modo?

— Questa è la proposta di matrimonio più volgare che io abbia mai sentito — commentò Leila, senza togliere gli occhi dalla strada. — Immagino di doverla prendere per quello che è.

— Grazie. — Redpath si abbandonò sul sedile, distolse i pensieri da un passato che diventava sempre più irreale di secondo in secondo, cominciò a riflettere sul futuro che doveva ancora emergere dalle nebbie delle probabilità.


FINE

Un autore per tutte le stagioni

di Vittorio Curtoni

Bob Shaw è uno di quegli autori che meriterebbero, e da parecchi anni, molta più fortuna di quella che hanno. Purtroppo per lui, non ha mai scritto grandi best-seller internazionali; nessun regista di grido ha mai tratto un film dai suoi libri; non è in linea con l’attuale tendenza al gonfiaggio dei romanzi, cioè non è il tipo capace di scrivere cinquecento cartelle basate su un’idea che, al massimo, potrebbe reggere un racconto lungo… È, per sua sfortuna (e per grande fortuna dei suoi cinque lettori), un narratore autentico.

Di conseguenza, i suoi libri hanno dimensioni ragionevoli, le sue storie conservano un’esemplare coerenza dalla prima all’ultima parola; e i suoi personaggi hanno un sapore talmente vero da risultare, in più di un’occasione, sgradevoli nella loro nuda realtà umana.

Nato a Belfast nel 1931, laureato in ingegneria meccanica, pubblica il primo racconto nel 1954, ma solo dal 1975 decide di diventare scrittore a tempo pieno. La sua ormai ricca bibliografia comprende romanzi giustamente celebri (all’interno dell’universo degli appassionati di fantascienza, se non altro) come Altri giorni, altri occhi (1972), basato sull’idea del “vetro lento”, un vetro che imprigiona le radiazioni luminose e le restituisce lentamente, fissando quasi per l’eternità le immagini del passato; la trilogia di Orbitsville, iniziata nel 1975, affascinante esplorazione di un mondo artificiale di dimensioni gigantesche, costruito come un guscio attorno alla propria stella; e Luna, maledetta luna, impietosa cronaca dello scontro tra la specie umana e una razza superiore di immortali.

Shaw ha in comune con un altro grande della fantascienza moderna, Theodore Sturgeon, un paio di qualità. In primo luogo, entrambi sono capaci di ideare trame che sono vere trame (cioè storie che appassionano il lettore, lo divertono, gli propongono sviluppi interessanti), ma al tempo stesso posseggono l’innegabile carattere della parabola (o del racconto a tesi, se vogliamo); ed entrambi tendono a mettere l’accento sulle valenze morali, etiche, che scaturiscono dagli avvenimenti e dai loro riflessi sui personaggi.

Molto spesso, all’inizio di un romanzo di Shaw, il suo protagonista è affetto da una malattia, o comunque si trova in uno stato fisico di estrema debilitazione (come l’Hasson di questo Antigravitazione per tutti, reduce da uno spaventoso incidente di volo; come il Denny di Luna, maledetta luna, malato di polineurite; come il John Redpath di Il terzo occhio della mente,epilettico; eccetera). Ciò che gli accade in seguito (quindi, nel contesto del romanzo, il tessuto della trama) è una sorta di percorso iniziatico: il rito della crescita, della lotta con se stessi e con la malattia, per giungere a una nuova definizione di sé e all’accettazione di una realtà esterna che prima veniva negata, ripudiata, evitata, odiata. Shaw non lo dice esplicitamente, ma credo che le sue storie si possano leggere come trascrizioni di altrettante terapie analitiche “selvagge”: la funzione dell’analista è svolta da avvenimenti esterni di impatto traumatico, e gli eventi portano avanti quel dialogo con l’io, quello scavo interiore che il personaggio, in situazioni diverse, non sarebbe in grado di gestire. Com’è ovvio, è un processo che implica molto dolore; ma la redenzione finale, il segno estremo della fiducia dello scrittore nelle possibilità dell’uomo, è un riscatto che giustifica qualunque martirio.

Oltre che al singolo individuo, Shaw è attentissimo alla dimensione sociale. O quando elabora nuove variazioni su temi canonici della fantascienza (ad esempio l’immortalità, in Luna, maledetta luna e nel bellissimo, dolente Un milione di domani), o quando si inventa ex novo ritrovati tecnologici di portata rivoluzionaria (come i corpetti antigravità di questo romanzo, o il già citato vetro lento), Shaw esplora con minuziosa precisione le conseguenze che il tessuto sociale subisce sotto la spinta di questi cambiamenti. La storia dei suoi personaggi riesce sempre a riflettere una storia collettiva; ne diventa lo specchio, la cartina di tornasole. Il che è l’essenza di ciò che si definisce “letteratura speculativa”, se non sbaglio. In altre parole, è l’essenza della fantascienza.

Personalmente, ho avuto il piacere, per molti anni, di tradurre in italiano le opere di Bob Shaw, e ho imparato ad amarlo anche quando mancava clamorosamente il bersaglio. Persino nei suoi romanzi meno riusciti (come il balordo I figli di Medusa,strutturato attorno ad un’idea assurda, inconsistente) riesce sempre a farsi leggere con piacere, a infilare tra le righe notazioni assai acute sulla psiche umana e sulle strutture sociali.

Ed è, in un campo dove i pennivendoli si sprecano, uno dei pochi autori capaci di usare con creativa autorità la lingua inglese: la sua sintassi è complessa, armoniosa, costruita su scansioni di ricchezza insolita; il suo lessico è preciso, netto, direi quasi fotografico, del tutto lontano dalle vaghe imprecisioni che una lingua sintetica come l’inglese permette (anzi, stimola).

Che altro potrei aggiungere? Sarà ormai chiaro, a chi ha avuto la bontà di seguirmi sin qui, che adoro Bob Shaw, che lo giudico uno dei più importanti (e, ripeto, sottovalutati) autori della fantascienza internazionale.

Titolo originale: Dagger of the Mind

Traduzione di Vittorio Curtoni

© 1979 Bob Shaw

© 1980 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano

Urania n. 832 (20 aprile 1980)

Copertina di Karel Thole

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