RAYMOND CHANDLER - TROPPO TARDI
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– Siete stata voi a chiamarmi qui, vero? Gli siete attaccata fino a questo punto?
Lei soffio via la cenere della sigaretta dal dorso della mano. Un bioccolo di cenere mi entro in un occhio e mi fece ammiccare.
– Devo esserlo stata… una volta. – Si poso una mano su un ginocchio e allargo le dita, studiandosi le unghie con attenzione. Poi alzo gli occhi, lentamente, senza muovere il capo. – Mi sembra che siano passati mille anni, da quando ho conosciuto un omino simpatico educato e tranquillo, che sapeva comportarsi in pubblico e non si sentiva in dovere di far pompa del suo fascino in tutte le taverne della citta. Si, mi piaceva. Gli volevo molto bene.
Si porto una mano alla bocca e si morsico la nocca d'un dito. Poi infilo quella stessa mano nella tasca della pelliccia e ne trasse un'automatica dall'impugnatura bianca, la gemella di quella che avevo in tasca.
– E alla fine gli ho voluto bene con questa – concluse.
Le andai vicino e le tolsi l'arma di mano. Fiutai la canna. Si. Aveva sparato. E con questa facevano due.
– Non l'avvolgete in un fazzoletto come fanno nei film?
Mi lasciai cadere la rivoltellina nella tasca ancora vuota, dove avrebbe potuto raccogliere qualche interessante briciola di tabacco e alcuni semi esotici che nascono solo sul versante sud est del municipio di Beverly Hills. Forse avrebbe dato da divertirsi al chimico della polizia, per un po'.
CAPITOLO XXVII
Rimasi a osservarla, per qualche minuto, mordendomi un labbro. Lei osservava me. La sua espressione non era cambiata. Cominciai a percorrere la stanza con lo sguardo. Alzai la copertura di tela d'uno dei tavoli. Sotto c'era un tappeto da roulette, ma non la ruota. Sotto il tavolo non c'era nulla.
– Provate la poltrona con le magnolie – consiglio Mavis Weld.
Non guardo verso la poltrona, cosi dovetti trovarmela da solo. E incredibile, quanto tempo mi ci volle. Era una poltrona di chintz a fiorami, dallo schienale alto, a conchiglia, il tipo che tanti anni fa si costruiva appositamente per riparare dagli spifferi quando si stava chini su un fuoco di carbone bituminoso.
Le girai attorno lentamente, senza rumore. Era quasi del tutto rivolta verso il muro. Tuttavia era ridicolo che non avessi notato il morto, mentre tornavo dal bar. Era rannicchiato in un angolo, con la testa rovesciata indietro. Il suo garofano era bianco e rosso e fresco, come se la fioraia gliel'avesse appuntato al bavero un istante prima. Gli occhi erano semiaperti, come sono spesso gli occhi di quel genere. Fissavano un punto imprecisato, in un angolo del soffitto. Il proiettile era penetrato attraverso il taschino della giacca a doppio petto. Chi aveva sparato sapeva dove si trovava il cuore.
Gli toccai una guancia, ed era ancora calda. Gli alzai una mano e la lasciai ricadere. Era completamente inerte. Posai le dita sulla grossa arteria del collo. Il sangue non pulsava piu. Solo poche gocce rosse avevano macchiato la giacca. Mi asciugai le dita, nel fazzoletto e rimasi ancora per qualche istante a fissare il piccolo viso tranquillo del morto. Tutto quel che avevo fatto o non fatto, buono o cattivo era stato inutile.
Tornai al divano, mi sedetti accanto alla ragazza e mi strinsi le ginocchia fra le mani.
– Che cosa vi aspettavate? – mi chiese Mavis. – Aveva ucciso mio fratello.
– Vostro fratello non era un angelo.
– Non era una buona ragione per ucciderlo.
– Qualcuno doveva ucciderlo… e al piu presto.
Lei sgrano gli occhi.
– Non vi siete mai chiesta perche Steelgrave non si e mai occupato di me, e perche ha lasciato andare voi, al Van Nuys, invece di andarci personalmente? Non vi siete mai chiesta perche un individuo con le sue risorse e la sua esperienza non ha mai cercato di metter le mani su quelle foto, costasse quel che costasse?
La ragazza non rispose.
– Da quanto tempo sapevate dell'esistenza delle foto? – domandai.
– Da qualche settimana. Da quasi due mesi, ormai. Ne ricevetti una per posta un paio di giorni dopo… dopo il pranzo con Steelgrave.
– Dopo che Stein venne ucciso.
– Si. Naturalmente.
– Pensavate che Steelgrave avesse ucciso Stein?
– No. Perche avrei dovuto? Cioe, non l'ho pensato fino a questa sera.
– Che cosa accadde, dopo che riceveste la foto?
– Mio fratello Orrin mi telefono e mi racconto che aveva perso l'impiego e che era in bolletta. Aveva bisogno di denaro. Non mi disse una parola della fotografia. Non era necessario. Quella istantanea poteva essere stata presa in una sola occasione.
– Come aveva ottenuto il vostro numero, Orrin?
– Il numero di telefono? Come l'avete avuto, voi?
– L'ho comprato.
– Ebbene… – abbozzo un gesto vago, con la mano. – Perche non chiamiamo la polizia e non la facciamo finita?
– Un momento. E poi? Che cosa accadde? Arrivarono altre copie della foto?
– Una alla settimana. Le mostrai a lui. – Accenno alla poltrona a fiorami. – La cosa non gli piacque. Di Orrin non gli dissi nulla.
– Ma lui lo scopri. I tipi come lui tendono sempre a scoprire le cose.
– Immagino di si.
– Pero non scopri il nascondiglio di Orrin. Altrimenti non avrebbe aspettato tanto. Quando avete dato l'indirizzo di vostro fratello a Steelgrave?
Lei distolse lo sguardo, e si affondo le unghie in un braccio.
– Oggi – disse con voce lontana.
– Perche oggi?
Il respiro le si ruppe in gola.
– Vi prego, non fatemi tante domande inutili. Non mi tormentate. Non potete far nulla per me. Credevo che poteste… quando ho telefonato a Dolores. Ora non e piu possibile.
– Benissimo – dissi. – Ma c'e qualcosa che, a quanto sembra, non riuscite a capire. Steelgrave sapeva che la persona che stava dietro quella fotografia, chiunque fosse, voleva quattrini, un mucchio di quattrini. Sapeva che, presto o tardi, il ricattatore si sarebbe dovuto scoprire. Era questo che Steelgrave aspettava. Della foto, in se, non gli importava niente, se non per amor vostro.
– L'ha dimostrato – osservo la ragazza, in tono stanco.
– A suo modo.
La sua voce si alzo, con calma glaciale.
– Ha ucciso mio fratello. Me l'ha detto lui, con la sua bocca. E in quel momento si e rivelato il gangster. Che strana gente si incontra a Hollywood, vero… me compresa?
– Gli volevate bene, una volta – dissi brutalmente.
Due macchie rosse le si accesero sulle guance.
– Non voglio bene a nessuno – ribatte. – Ho finito di voler bene alla gente. – Lancio una breve occhiata alla poltrona fiorata. – A lui ho smesso di voler bene ieri sera. Mi ha chiesto di voi… chi eravate e cosi via.
Glie l'ho detto. E gli ho detto che avrei dovuto confessare di essere stata vista all'albergo Van Nuys, vicino a quel morto.
– Avevate intenzione di dirlo alla polizia?
– Volevo dirlo a Jules Oppenheimer. Lui avrebbe saputo come risolvere la situazione.
– E se non lui uno dei suoi cani.
Non sorrise. Nemmeno io sorrisi.
– Se Oppenheimer non fosse riuscito a sbrogliare le cose sarei stata finita come attrice – soggiunse Mavis, senza interesse. – Adesso sono finita in tutti i sensi.
Trassi di tasca una sigaretta e l'accesi. Ne offersi una anche a lei, ma non la volle. Non avevo nessuna fretta. Mi pareva di avere perso il senso del tempo. E quasi di ogni altra cosa. Ero come svuotato.
– Correte troppo, per me – dissi, dopo una pausa. – Quando siete andata al Van Nuys non sapevate che Steelgrave era "Frigna" Moyer?
– No.
– E allora perche ci siete andata?
– Per comprare quelle foto.
– Come e possibile? Non e chiaro. In questo caso le foto non avrebbero dovuto avere nessun senso, per voi. Si trattava solo di voi e del vostro amico che facevate colazione.
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